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POLICORO – Il meccanismo non è semplice, ma collaudato. E’ lo stesso per
riuscire a fare assumere qualcuno in un concorso della pubblica amministrazione senza fare troppi inguacchi. Servono i titoli per arrivare primo in graduatoria? Si producono diplomi, esperienze, collaborazioni, incarichi fiduciari e cose così.
Il «sistema Policoro» è tutto qui. Il copyright è dei militari della guardia di finanza, che hanno diviso gli imprenditori in «cartelli» – manco dei narcotrafficanti colombiani – e gli appalti in due categorie: «satelliti» e «master».

I primi sono gli affidamenti diretti sotto la soglia prevista dalla legge oltre la quale scatta l¹applicazione obbligatoria delle regole di evidenza pubblica delle gare. I secondi sono la torta, gli affari veri, quelli a sei zeri.
Al centro dell¹accusa c’è la fornitura di lampade a led per i lampioni di tutta Policoro per un ammontare di 3 milioni e seicentomila e rotti euro.

Ma ascoltando le conversazioni degli indagati le fiamme gialle hanno aperto almeno un altro filone. Riguarda l’affidamento dell’appalto per la raccolta dei rifiuti in città, finito al fratello di uno dei tredici arrestati ieri mattina, Nicola Benedetto germano di Donato, che è il presidente della cooperativa di ortofrutta “Campoverde” dove lavorano il figlio del sindaco Lopatriello, e il temibile fratello Giuseppe, detto “Pino”. A dire il vero non tutti sono convinti che il figlio del primo cittadino sia quel mostro di fatica di cui si parla.
Ci sono due diverse informative dei finanzieri che attestano che il ragazzo beneficerebbe di «giornate lavorative svolte in realtà da altri dipendenti».

Quindi un «sistema». Per questo tra la documentazione acquisita ieri
pomeriggio negli uffici del comune ci sarebbero gli atti relativi anche all’appalto per la raccolta dei rifiuti. Il meccanismo sarebbe funzionato pressapoco così. Attorno al tandem sindaco-assessore Ierone sarebbero ruotati personaggi come Felice D’Amato, vicesindaco nella scorsa amministrazione guidata dal solito Lopatriello, e intermediario tra l¹apparato e «la classe imprenditoriale» di casa negli uffici del Comune.

Prendendo il caso dell’appalto per le lampade led, i militari fanno riferimento a una riunione che si sarebbe tenuta ai primi di marzo del 2010 in cui sarebbe stato concordato a chi dovesse andare la fornitura, ovvero il «cartello di Noci» degli imprenditori Sandro Gigante, Giovanni Colamarino e il suo socio di fatto Luigi Rotunno. Tra le varie cose sarebbe stato fissato anche il presso della mazzetta complessiva da pagare, 50mila euro. L’accordo avrebbe previsto il pagamento della somma dopo l’assegnazione. Ma prima c’erano da fare i punti. Bisognava che i prescelti accumulassero i titoli necessari per sbaragliare la concorrenza al momento della valutazione tecnica delle offerte che sarebbero state presentate dopo la pubblicazione del bando europeo per l¹appalto «master». Per questo andavano realizzati tre lavoretti «satellite»: l’illuminazione di via Salerno (quella dell’ospedale), della villa comunale, e della zona artigianale.

Il tutto spacchettato per non superare la soglia massima prevista dalla legge per gli affidamenti diretti. Fatto ciò l’amministrazione avrebbe provveduto a una dichiarazione di «gradibilità» che si sarebbe tradotta in punti durante le procedure della successiva gara milionaria. Qui sarebbe sorto un imprevisto, perchè secondo le fiamme gialle il sindaco Lopatriello avrebbe chiesto a Gigante una mazzetta anche per questi appalti che dovevano servire solo a preparare il terreno prendendo alla sprovvista l’imprenditore. Colamarino e Rotunno si sarebbero accollati quello che gli investigatori hanno chiamato un «antipasto» dei cinquantamila a venire.
Duemila euro lievitati fino a quattromila che Colamarino avrebbe portato all’assessore Ierone il 19 aprile.

Le fiamme gialle erano già piazzate davanti al Comune e hanno assistito
alla scena. Arriva Colamarino con una scatola di sigari in mano. E’ lì che
lui stesso racconta poco dopo al suo socio, che aveva imboscato le
banconote. La conversazione è stata intercettata con una microspia piazzata
nella sua auto.
Arriva Colamarino con questa scatola di sigari e la dà all’assessore. Poi
se ne esce a mani vuote. Ci sono anche le riprese del circuito di sorveglianza negli atti della procura di Matera. Poi l’assessore sarebbe andato dal sindaco per spartire la mazzetta con lui. Una parte sarebbe spettata anche al dirigente dell¹ufficio tecnico Felice Viceconte e Felice Latronico dell¹ufficio del bilancio. Anche nello studio di Nicola Lopatriello c’erano delle microspie, quelle che avrebbe scoperto qualche mese dopo denunciando pubblicamente la cosa. Ma non avrebbero captato nulla.

Chi conosce Lopatriello sa che aveva una specie di fissazione per il pensiero di essere spiato. Così ogni volta che nel suo studio si trattava di discutere una faccenda delicata attivava per prudenza un marchingegno che si chiama jammer, che ha la capacità di disabilitare nell’arco di tre metri il funzionamento di telefoni cellulari e apparati Gsm come le microspie della finanza. Una fissazione, che gli passava per la testa quando si trattava di parlare degli ottimi risultati della sua amministrazione. Cosa che gli investigatori hanno interpretato come il
«tentativo di precostituirsi una difesa».

LEO AMATO

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