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di PIERO QUARTOFinalmente. Mancava da tanto un’occasione per parlare dei temi della giustizia senza preclusioni ideologiche o peggio ancora colori politici di varia natura. L’incontro, piacevole soprattutto per il livello degli interventi, di venerdì sera a Palazzo Lanfranchi a Matera con il giudice Armando Spataro è stata un’occasione per capire (non ce ne dovrebbe essere bisogno ma così non è) che la magistratura e la politica sono su due posizioni diverse, percorrono due strade parallele che non sono destinate necessariamente ad incontrarsi proprio in virtù di quel principio di separazione dei poteri che la Costituzione afferma a chiare lettere.
Del ruolo della magistratura, dei compiti dei magistrati che in nessun modo vogliono essere degli eroi ma che si trovano semplicemente a dover svolgere un loro compito e un loro dovere nell’ambito del rispetto della legge ha parlato chiaramente Spataro che non ha dato l’impressione, spesso in verità evocata da alcune pubbliche apparizioni dei suoi colleghi rappresentanti dell’Anm, di essere schiacciatio su una posizione che tende a difendere dei privilegi e ad avvicinarsi ad una parte politica in particolare. Nelle parole di Spataro traspariva chiaramente il ruolo “terzo” che la magistratura dovrebbe avere rispetto agli altri poteri.
E lo stesso Buccico pur da un percorso professionale e politico diverso ha specificato che non si può dare una coloritura politica, apporre una bandierina nei confronti di un eminente giurista che, ad esempio, diventa membro della Corte Costituzionale. Non è una questione politica, è una questione di conoscenza delle norme e del diritto che viene prima di quelle che possono essere le opinioni personali. Ma non è questa una stranezza. Lo strano è che in Italia siamo tutti autorizzati a pensare il contrario. Né si possono dimenticare i torti subiti, le vittime che si sono immolate negli anni nell’esercizio del proprio dovere, da magistrati, “sarebbe fare un torto ai magistrati stessi” come ha sostenuto proprio in queste ore il presidente della Camera, Fini.
E proprio per questo che non fa una piega neanche il passaggio, dello stesso Buccico, circa la necessità di non apporre il pubblico ministero sotto il potere dell’esecutivo perché siamo in una democrazia debole in cui, a differenza di realtà come Inghilterra, Francia o Germania, il dibattito e i contrasti politici sono molto più accesi e dunque quell’evenienza diventerebbe quantomeno pericolosa. Idee e concetti che svicolano da un quadro precostituito, noioso e spesso “caciaresco” di rappresentazione dei temi della giustizia e riportano la questione in un ambito più ampio, concreto che riguarda le singole esperienze. Insomma una giustizia che cammina con le sue gambe e che conosca la strada da percorrere. Non è sempre facile seguire una strada del genere, abbinare integralismo, concretezza e misurazione, ragionare non per teoremi o ideologie ma sulla base dei fatti. Sono sembrate cose banali, ovvie quelle affermate dal Procuratore Capo Gravina e dallo stesso Spataro evocando il lavoro svolto insieme a Milano. Invece proprio in queste cose sta probabilmente il difficile.
Un’unica cosa però forse era necessario che emergesse a lettere più chiare. Cioè che i magistrati qualcosa la devono cambiare anche loro. Altrimenti continueranno a sembrare una casta di privilegiati, tutti e senza distinzioni. Ma non nei singoli comportamenti e nel rispetto dei principi della legge e della Costituzione (ci mancherebbe!), ma nel modo ad esempio in cui ci si rapporta con l’esterno, nel modo in cui si affrontano quei casi in cui politica e magistratura si incontrano inevitabilmente e non è un incontro piacevole. Nel modo in cui si procede ad affrontare i casi quotidiani, quei piccoli casi che non hanno spesso nulla a che vedere con le indagini di portata nazionale ma che hanno probabilmente un impatto, in proporzione, sul territorio molto più grande e più forte.
La strada indicata da Spataro è chiara e non ammette equivoci, la domanda resta però. Viene sempre seguita? Quando non viene seguita cosa succede? Ci sono interventi adeguati? O si rischiano mini-derby del Sud ad ogni piè sospinto nelle diverse e singole Procure sparse per l’Italia. Ci sono probabilmente anche coloro che invece di fermarsi e far prevalere i fatti ad un idea e un convincimento personale vanno oltre. Percorrono un’altra strada, quella sbagliata. Può succedere e lì bisogna intervenire. Forse cominciando a rivedere qualcosa sotto l’aspetto disciplinare come ha suggerito Buccico anche per quanto riguarda gli avvocati. Certo ponendosi il problema, aprendo la questione. Dicendo che non tutti sono uguali e sanno scegliere la strada giusta. Certo però anche di queste situazioni si può parlare sempre e solo con i toni, la voce bassa, la misurazione e la mente aperta che si è vista l’altra sera a Palazzo Lanfranchi. Quando invece i fumi della bagarre politica irrompono sulla scena ed allora le varie interpretazioni risultano artefatte e tutte le argomentazioni non oggettive, organiche e sagge ma pretestuose e strumentali. E’ per questo che ribadiamo con forza il nostro: FINALMENTE.

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