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Con l’accordo di Pomigliano e Mirafiori, con il braccio di ferro che ancora dura alla Fiat/Sata di Melfi sui tre operai licenziati e reintegrati dalla magistratura del lavoro, l’iniziativa di Marchionne sta travolgendo l’intero sistema delle relazioni industriali nel nostro paese. E’ un’azione condotta avanti con selvaggia determinazione che non ha eguali in nessuna esperienza del passato, anche se il risultato del referendum di Mirafiori ci consegna una classe operaia dignitosa e determinata, capace di resistere ai ricatti ed ai tentativi di isolamento. Tutti i riferimenti alla restaurazione autoritaria di Valletta alla Fiat negli anni cinquanta o all’azione anti Trade Union della Thatcher nell’Inghilterra degli anni ottanta non danno l’esatta dimensione di quello che oggi sta avvenendo in Italia. Il contesto in cui tutto ciò sta avvenendo ci rimanda ad una crisi mondiale “strutturale” che riguarda cioè “l’intero sistema capitalistico ed è il prodotto di tante “crisi”: da quella dei dispositivi economici che hanno nella finanza il loro epicentro e come risultati la precarizzazione di massa e la redistribuzione della ricchezza dal lavoro alla rendita e al profitto, a quella ecologica, che pone sempre più drammaticamente il problema degli effetti sulla nostra vita della devastazione ambientale irreversibile, dalla crisi alimentare che coinvolge tanta parte del pianeta, fino alla crisi energetica e di accesso ai beni comuni come l’acqua. La crisi attraversa e stravolge tutte le sfere, innanzitutto quella della democrazia e della libertà, e la conseguenza più diretta è una ridefinizione continua dei valori e dell’etica che stanno alla base di ogni ipotesi di società, che conduce al prevalere di individualismo ed egoismo. Per gli apologeti del mercato e del capitalismo, si presenta la possibilità di cancellare qualsiasi tipo di ostacolo sociale all’arricchimento di pochi a scapito della miseria di molti. La crisi dunque, assume significati ed utilizzi diversi a seconda di chi la affronta e di come si affronta. Quando si dice che “Marchionne fa la lotta di classe”, si afferma esattamente questo: la crisi diventa per la direzione della Fiat l’opportunità di rafforzare il proprio potere, annullando chi è costretto a lavorare dentro una fabbrica per vivere con un salario che è 400 volte inferiore a chi dirige. Gli effetti della crisi, quelli che sentiamo sulla pelle da Pomigliano a Melfi, dalle basi petrolifere nel Golfo del Messico alle scuole e alle università senza finanziamenti, nello smantellamento del welfare e nella privatizzazione dell’acqua, sono in realtà il prodotto preciso dell’utilizzo che della crisi stessa viene fatto da una parte, quella di chi è ai vertici delle aziende, dei governi, delle istituzioni europee, delle banche su base locale e globale. La precarietà a cui siamo tutti sottoposti, noi e il pianeta, è il prezzo da pagare alla loro idea di società. Se ci affidassimo solo ai “conflitti” che la crisi oggettivamente provoca, potremmo avere brutte sorprese, anche tragiche: non è detto che essi non diventino guerre fra poveri, razzismo, xenofobia, individualismo. Se non ci ponessimo il problema di “ricomporre” le tante resistenze che nascono dai processi ristrutturativi in atto nella scuola, nell’università e per l’intero ciclo della formazione, nel lavoro di fabbrica e nelle nuove forme del lavoro autonomo, interinale, a chiamata, consegneremmo all’oblio o peggio alla sconfitta ognuna di queste. Allo stesso modo se non comprendiamo che la lotta contro la privatizzazione dell’acqua e per i beni comuni ci parla direttamente di un’idea di società, ivi compresa la produzione, non si riuscirà mai a cogliere la profondità di ciò che è in atto, e che appunto non è “scomponibile” in settori. Come a Genova, dobbiamo essere in grado, e questa è la sfida, di creare un piano comune finalizzato alla piena e buona occupazione, alla validazione democratica delle piattaforme dei contratti per tutte le lavoratrici e i lavoratori, a un reddito di cittadinanza e formativo, perché l’ecologia non diventi una teoria astratta, ma serva a progettare un nuovo modo di produrre e vivere, perché il lavoro non venga inteso come un generico “valore” ma si riempia di concretezza, affrontando di volta in volta le sue condizioni e i suoi esiti sulla vita di chi lo compie e dell’ambiente sociale e naturale che lo circonda”. Sono questi i principali elementi, ripresi dall’appello nazionale, intorno a cui si stanno costituendo i comitati “Uniti contro la Crisi”. In queste ultime settimane stiamo assistendo ad una ulteriore accelerazione con il tentativo Fiat di cambiare completamente ”le regole del gioco” della contrattazione nazionale presentando uno pseudo piano industriale che altro non è che il tentativo di escludere dalla rappresentanza e dalla contrattazione chi non è colluso o compiacente come la Fiom, che ci convince della necessità di avviare anche a livello regionale la costituzione di un comitato “Uniti contro la Crisi” per costruire iniziative in grado di allargare il fronte di opposizione a queste politiche industriali scellerate. La lotta della Fiom non deve rimanere isolata, ciò che accade in fabbrica ci riguarda tutti, i processi che Marchionne tenta di introdurre prospettano una involuzione autoritaria della società, un restringimento degli spazi di democrazia che va ben oltre i confini della fabbrica.

Il comitato promotore: Ida Bochicchio, Davide Bubbico, Antonio Califano, Giuseppe Cillis, Vito Copertino, Mira De Lucia, Piero Di Siena, Emanuele De Nicola, Ascanio Donadio, Paolo Fanti, Angela Lombardi, Vincenzo Masi, Paolo Pesacane, Antonio Placido, Italo di Sabato, Giacomo Schettini, Alessandro Siciliano, Laboratorio Sociale Reset, RadioRed*Azione.

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