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Avere di fronte Giorgio Albertazzi è di per sé un’emozione. Non è necessario che reciti un testo, perchè lui è l’arte. Prima di presentare al pubblico del teatro Duni di Matera il suo riadattamento della commedia di Shakespeare “Il mercante di Venezia” il maestro ha regalato un po’ della sua immensa arte, con una piacevole chiacchierata sulle tavole del palcoscenico ancora deserte. Di Matera, fresca capitale europea della cultura, dice: “Quando si arriva in questa città si entra in un luogo magico, in una “nobile” città come volle nominarla nel ‘500 il conte Gattini”. Poi si preoccupa della capienza del teatro: “Non mi sbaglio mai sulla capienza, pensavo che il Duni avesse non più di 830 posti, invece mi hanno detto che sono 950. Poco male, a me, di solito, mi occorre almeno un teatro e mezzo”. E si assiste a un’autentica lezione di interpretazione scenica quando “re” Giorgio ci parla del suo “Il Mercante di Venezia”. Sì, perchè come ha subito spiegato “Non è il testo che fa il teatro, ma l’attore”. “E’ stato un adattamento abbastanza massiccio del testo. Ci sono certi aspetti che ho potenziato: il personaggio di Job è diventato molto più lungo. Ho poi calcato la mano sull’atto d’amore. C’è anche l’amore di Shylock per la figlia Jessica che lo tradisce e fugge con un cristiano portandosi via tutto il denaro. Rimane una storia stupenda che ha appassionato ed appassiona spettatori. Basti pensare che riprenderemo lo spettacolo a Roma per la terza volta”. Che molto probabilmente sarà anche l’ultima: “Dopo basta- dice- poi ho altre cose da fare. In genere progetto le mie cose di dieci anni in dieci anni e se ho preso dalla bisnonna che è morta a 106 ne ho ancora per un po’ di progetti da fare”. Tra questi sicuramente la televisione. «Dopo la mia partecipazione a “ballando con le stelle” mi sono arrivate un sacco di proposte. Non posso parlarne perché sono progetti in corso, ma c’è abbastanza televisione nel mio prossimo futuro”. L’amore per Shakespeare? «La sua forza- spiega- sta nella lingua che si bilancia tra il verso, il “blank verse” e la prosa.. Shakespeare mette continui correlativi oggettivi mentre scrive, il suo non è mai un discorrere, è sempre un’incisione di significanti, i quali squillano perché diventano concreti. Shakespeare non dice: sei bella come una rosa; ma dice: una rosa appassisce davanti al colore delle tue guance. Immediatamente sei colto dall’immagine fortissima che diventa concreta. E’ la forza della poesia che va alla scoperta dell’archeologia della parola, non soltanto il suo significato quotidiano. La parola teatrale è sempre extra quotidiana”.

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