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POTENZA – È una notizia un museo che funziona? No. Ma anche sì, se spesso accade il contrario e soprattutto se il museo è statale e si trova nella città del prefisso dis- (dissesto, disavanzo, disagi, disservizi etc.), a meno di 50 metri dal Palazzo di rappresentanza del capoluogo sospeso sul baratro della chiusura e nella quale, intanto, si vive a mezzo servizio, dai parcheggi ai trasporti alle pulizie ai rifiuti agli ascensori, dove devi pagare per muoverti sulle scale mobili ma poi puoi parcheggiare tranquillamente nelle strisce blu perché la multa è davvero un’eccezione, anzi un accanimento del caso visto che il personale addetto ai servizi è perennemente sottodimensionato o sottopagato o in vertenza più o meno perenne.
Semmai, al Museo archeologico nazionale della Basilicata “Dinu Adamesteanu” un occhio superficiale noterebbe che qui i dipendenti sono pure troppi. E infatti – zac! – ecco pronta la scure dei tagli anche nei musei: è il caso delle strutture provinciali, comprese biblioteche e pinacoteche, dove una discrepanza tra legge regionale e legge Delrio ha generato 56 esuberi e l’orizzonte della mobilità. Ma a Potenza (la Provincia nel 2014 ha speso nel settore quasi 1,2 milioni), così come in un qualsiasi altro luogo di cultura, si dovrebbe sforbiciare solo come extrema ratio, dopo aver aggredito i veri rami secchi.
Carmine Cassino, nel suo blog ospitato dal nostro sito, ha lanciato l’allarme sulla Biblioteca provinciale. Perché, dopotutto, la cultura è un ramo che produce frutti, checché ne abbia detto l’ex ministro Tremonti.
L’“Adamesteanu” – intitolato al rumeno decano dell’archeologia lucana morto 11 anni fa a Policoro, una figura assimilabile un po’ a quella di Paolo Orsi in Calabria – è per così dire il fratello ricco del Provinciale, che pure ricopre un suo ruolo divulgativo (è molto frequentato dalle scolaresche) e di ricerca (due anni fa ospitò un gruppo di studiosi della Sorbona di Parigi). Nei due piani di Palazzo Loffredo, il Nazionale ospita una esposizione permanente organizzata per cronologia e territorio offrendo un quadro generale ed esaustivo dell’archeologia lucana: fiore all’occhiello i ritrovamenti del Potentino, esposti per la prima volta in una sede permanente.
«Salve, dovrei fare il biglietto». «Per cosa?». La risposta al botteghino – così come le luci spente nella grande sala iniziale prima dell’arrivo dell’unico visitatore del giorno, almeno a guardare il registro delle presenze – farebbe pensare a una diciamo scarsa presenza diffusa nel corso della settimana. Ma poi quando cerchi in rete qualche numero sulle presenze durante l’anno (nel boxino riportiamo i più aggiornati, riferiti ai tre giorni a cavallo di Ferragosto di due anni fa) t’imbatti negli utenti di Tripadvisor che recensiscono stupiti il Museo sul web e intitolano i loro affascinati contributi “Scoperta inaspettata”, “La magia di un viaggio nel nostro passato” o “Bellezza nascosta”, giudizi da prendere per veri e spassionati non trattandosi di ristoranti; e sarebbe bello chiedere ai potentini – prima che ai lucani – quante volte hanno visitato l’“Adamesteanu”. Se ancora non lo hanno fatto, scoprirebbero ad esempio che il culto di Eracle qui era radicatissimo, vedi Heracleia, odierna Policoro, e l’antica via romana Herculea che prendeva il nome dalla città d’arrivo e tagliava l’odierna Basilicata da nord (Venusia) a sud passando per Potentia e Grumentum. Di quel culto restano statuette prodotte in tutto il territorio con esiti anche elevati.
Gioielli di oltre 2 millenni fa raccontano di una scuola manifatturiera metapontina che produsse pezzi artistici in oro che starebbero bene in una vetrina di via Pretoria.
Una dipendente sempre accanto guarda con un po’ di stupore il “forestiero”, altri colleghi sono disponibili nell’indicare il percorso e fornire il materiale informativo che integra i già esaustivi pannelli in doppia lingua, un’altra impiegata chiede «chi cercate?» come se non fossimo nei corridoi di un museo e qualcuno si affaccia per dare un volto al vocio che anima una bella mattinata di sole davanti alla Cattedrale: sono scolaresche a zonzo, che, oltre a rompere il silenzio in cui sembra di piombare davanti alla sontuosità dei reperti di 2500 anni fa, fanno venir voglia di chiamarli dalla finestra e invitarli a fare un giro nelle sale dell’“Adamesteanu”. Capirebbero come le due Lucanie non sono un’invenzione dei giorni nostri figlia del dualismo Matera-Potenza bensì una tendenza pre-magnogreca, quando all’oriente pianeggiante imbevuto di classicità filtrata da Taranto attraverso Metaponto si contrapponeva (più pacificamente di oggi, però non esistevano i social network…) un entroterra di fiere popolazioni autoctone dedite ad agricoltura e pastorizia ma non affatto restie ad assimilare i modelli culturali greci. Peccato perché quegli studenti si sarebbero sentiti a loro volta fieri di discendere da queste popolazioni dalla manualità geniale e da un gusto che secoli dopo imbeve la civiltà occidentale facendo scuola nel mondo. «Con la cultura non si mangia» però si nutre, eccome, l’anima.

e.furia@luedi.it

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