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Comincia col 1962 il triennio d’oro del cinema a Matera e in Lucania. Dopo le prime incerte e zoppicanti esperienze di altri registi, in quell’anno approdò a Matera Luigi Zampa per girare Anni ruggenti. L’anno successivo, nel 1963 fu volta di Brunello Rondi che venne a girare Il Demonio. Si erano appena spenti i riflettori su questo film e già approdava nei vicinati del Barisano e sulle balze della Murgia un altro grande del cinema di tutti i tempi, Pier Paolo Pasolini che qui realizzò le parti salienti del suo Il Vangelo secondo Matteo. Pasolini arrivò a Matera nel giugno del 1964, dopo aver girato la strage degli innocenti fra la cantine di Barile alle falde del Vulture. Nel 1963 venne realizzato da Lino Miccichè Sassi ’63, uno dei primi lungometraggi sugli antichi rioni materani. Nello stesso anno, in altra parte del territorio regionale, Lina Wertmuller girava I Basilischi. L’anno successivo, nel 1964, fu la volta di Franco Taviani con Vecchio e nuovo nelle campagne. In vario modo e per circostanze diverse, mi trovai coinvolto in questi film. Anche in tempi successivi il Cinema irruppe nella mia vita. Nel 1978 collaborai con Francesco Rosi sul set di Cristo si è fermato a Eboli come aiuto scenografo e, nel 1981, ebbi qualche ruolo nel film Tre fratelli dello stesso regista napoletano. In sostanza mi sono trovato a svolgere un ruolo che ha molta attinenza con le competenze e le finalità affidate oggi alla Lucana Film Commission.
E infatti. Il primo rapporto fu quello con Luigi Zampa. Il regista alloggiava al Jolly Hotel. Sapevo che nutriva simpatie politiche per il partito comunista. Friggevo dal desiderio di andarlo a conoscere. Quell’anno, nel 1962, era in corso la raccolta delle firme sotto una petizione della pace. Mi recai nella hall dell’albergo con uno di questi fogli. Gli chiesi di potergli parlare qualificandomi subito come dirigente comunista. Il regista fu cortese, mi invitò a sedermi al suo tavolo. Ci fermammo a parlare di politica. Il cinema neorealista mi aveva ubriacato. In tutti i film intravedevo la dottrina comunista. Chiesi al regista informazioni sul film che stava girando a Matera. Zampa mi sintetizzò la trama, definì il suo film antimussoliniano. Ma, sottolineò, non era un film politico, piuttosto intendeva mettere in evidenza i caratteri istrionici del regime senza forzare la realtà. Aveva scelto Matera per alcuni set perché le peculiarità ambientali dei vecchi rioni, i famosi Sassi, ben si conciliavano con i contesti urbani barocchi degli altri set che, mi sembrò di capire, aveva scelto nel vicino Salento. Si era fatta l’ora di andare sul set, Zampa mi invitò ad accompagnarlo. Ci restò solo qualche minuto prima di incamminarci a piedi verso gli antichi rioni materani, giusto il tempo per chiedere a Luigi Zampa di firmare la petizione della pace. Zampa non si fece pregare, firmò la petizione sull’apposito modulo. Due giorni dopo pubblicavo con molto risalto sull’Unità la foto di quella firma. Chiesi al regista se potevo scattare qualche foto sul set, Zampa non mosse difficoltà. Avevo con me, come al solito, la mia Comet 3.
Sapevo poco o niente del film che Zampa girava a Matera, non conoscevo né la trama né il cast. Non ero preparato alla sorpresa cui, di lì a poco, sarei andato incontro. Attraversammo a piedi tutto il tratto per arrivare sul set nel rione Malve in fondo a via Buozzi nei Sassi. I tecnici di ripresa avevano già sistemato le macchine e le luci, tutto era pronto per il ciak iniziale. Zampa prese posizione, imbracciò il megafono e cominciò a distribuire ordini a destra e a manca. Io mi ero sistemato ai margini del set in una posizione che non fosse d’intralcio con la macchina fotografica pronta per gli scatti. Finalmente il si gira nel silenzio di una piccola folla di curiosi che facevano da corona al set. Restai a bocca aperta a quel che vidi. La macchina di ripresa stava inquadrando due persone che procedevano lungo un vicinato parlando fitto fitto. Erano Nino Manfredi e Salvo Randone, due attori che amavo e che non mancavo di andare a vedere a cinema quando erano interpreti di qualche film. Ora ce li avevo dinanzi a me, ne ascoltavo le voci, sfottente e squillante quella di Manfredi, cavernosa e misteriosa quella di Randone, e poi la risata di quest’ultimo quando scopre che, nella parte del film, Manfredi non è il gerarca fascista inviato in incognita da Roma a indagare sulla dirigenza politica della città, ma è invece un rappresentante di commercio in giro per affari. Ho ascoltato la risata soddisfatta di Salvo Randone dal vivo mentre, con molta cautela, scattavo qualche fotografia ai due attori.
Cominciavano a diventare una meta ambita i Sassi materani per il cinema italiano. Era appena andato via Luigi Zampa dal rione Malve, che già altri registi arrivavano ad animare gli antichi vicinati. Nel 1963 fu la volta di Brunello Rondi e di Lino Miccichè. Rondi doveva girare un film sulla magia, un mondo molto esplorato qualche anno prima da Ernesto De Martino con le sue inchieste sui maghi e sulle fattucchiere. Il regista venne a cercarmi nella sede della federazione comunista. Mi chiese di aiutarlo nella ricerca dei luoghi dove poter ambientare alcune scene del suo film che, mi disse, si doveva chiamare Il demonio. Aveva già individuato una cascina rustica nella campagna di Miglionico dove avrebbe ambientato la casa in cui viveva la strega, la bellissima Daliah Lavi. Quella cascina, in tempi recenti, è stata restaurata ed è diventata una villa moderna. Ora cercava una location per la tarantolata della strega, possibilmente l’interno di una chiesa. Pensai che potesse andare bene qualche interno dell’Abbazia Sant’Angelo di Montescaglioso, ma dopo un nostro sopralluogo si decise che non andava bene, e allora cercammo altre soluzioni. Che trovammo a Matera, nella Palomba, una chiesa alla periferia della città sulla via per Laterza. Allora non si diceva messa alla Palomba, la chiesa era in stato di quasi abbandono. Il regista offrì una mancia al custode e ottenne di poter girare la scena del’esorcismo all’interno della chiesa. Oggi le autorità ecclesiastiche non permetterebbero che una scena simile fosse girata in una chiesa. È la scena in cui la strega, invasa dal demonio, si sottopone ad una serie di contorcimenti del corpo sotto l’effetto della possessione del demonio.
Nello stesso anno venne realizzato un bellissimo lungometraggio a colori da Lino Miccichè. Era una personcina bassa, d’una altezza al di sotto della media, claudicava vistosamente. Era venuto a Matera per girare un lungometraggio sui Sassi. A colori. Lo accompagnavano un tecnico di ripresa e un aiutante. Arrivarono con la macchina furgonata attrezzata anche di sedili.
Era la primavera del 1963. Come spesso accadeva, anche Lino Miccichè si rivolse alla federazione comunista per avere una mano d’aiuto e toccò a me accompagnarlo attraverso i Sassi e in altri posti del territorio. Mi illustrò il suo progetto: doveva documentare la vita negli antichi vicinati delle grotte. Non solo. Doveva anche rendere l’idea del contesto territoriale in cui si realizzava la vicenda del risanamento dei Sassi. In quegli anni era ancora vivo e attuale il dibattito sul destino degli storici rioni, sui contesti sociali ed economici che li investivano, e soprattutto cominciava a montare la polemica sui criteri di applicazione delle leggi di risanamento. Quando Miccichè venne a girare il suo filmato, i Sassi erano ancora parzialmente abitati. Molte famiglie continuavano ad abitare nelle grotte fatiscenti e i vicinati pullulavano di vita ed erano pieni di donne e bambini e panni stesi. Per un numero considerevole di famiglie di cavernicoli nulla era mutato. Nelle grotte del rione Malve o di San Pietro Caveoso, la storia era ferma come nel passato. I traini dei contadini continuavano a solcare via Buozzi e via D’Addozio e Porta Pistola come nei secoli passati. Per molta parte dei Sassi, insomma, erano ancora attuali le pagine di Carlo Levi. E lì, di girone in girone, Lino Miccichè, sotto la mia guida, scendeva con la sua troupe puntando l’obiettivo su ogni cosa che fosse viva: persone, donne intente alle faccende domestiche, bambini che razzolavano come galline nel fango, muli sotto il peso dei basti, e le voci del vicinato, donne che richiamavano in casa i figlioli, contadini che chiacchieravano di fatiche campagnole, grugniti di maiali e ragli di asini. L’operatore, saggiamente diretto dal regista, tutti riprendeva e tutto restandosene spesso nascosto dietro un riparo per strappare scene autentiche e genuine. Ma c’era anche un’altra ragione che suggeriva questa strategia. Avevo avvertito Miccichè che erano capitati casi di persone che accettavano di essere filmati o fotografati, solo a patto di essere pagati. Forse era l’effetto della presenza del cinema che aveva introdotto l’usanza del pagamento alle comparse. Solo la mia presenza evitava che ciò accadesse, molta gente mi conosceva e ci lasciava filmare senza problemi. A Miccichè interessava anche documentare tutto ciò che accadeva a margine dei Sassi, in modo particolare voleva mostrare gli sprechi e gli errori legati all’applicazione delle leggi di risanamento. Un esempio eclatante era quello delle due borgate sorte nei pressi del Santuario di Picciano. Decine di palazzine, costruite da una decina d’anni, erano rimaste disabitate. Distavano dalla città una decina di chilometri e non si trovano famiglie disposte ad andarle ad abitare. Erano destinate ai contadini, ma non era stata prevista l’assegnazione di terre vicine alle borgate. Le case, quando le ha filmate Miccichè, mostravano i segni della lunga incuria, crolli e lesioni le avevano già rese inabitabili. Anche il vandalismo aveva fatto la sua parte. La stessa situazione trovammo a Venusio, un borgo sorto sulla strada per Altamura e anche questo destinato a famiglie contadine. Queste case, poi, dopo anni, sono entrate nel mercato degli appetiti speculativi e occupate da famiglie di senza tetto. Ma allora tornarono utili per mettere a nudo la improvvisazione che imperversava nella classe politica democristiana, responsabile in prima persona nella gestione del potere. Ma la piaga degli sprechi era ben più generale. Un altro esempio eclatante era quello del borgo di Santa Maria d’Irsi e di Taccone in territorio di Irsina. Alcune centinaia di abitazioni, destinate a famiglie contadine, erano rimaste vuote, né fu mai trovata una soluzione per salvarle dal degrado e dall’abbandono. A Santa Maria d’Irsi, l’operatore potette filmare il caso emblematico: una edificio destinato a scuola elementare era occupato da un gregge di pecore. Da scuola a stalla. Con Lino Miccichè eravamo diventati amici, spesso si discuteva di cinema e di politica, io conoscevo la sua competenza in materia di critica cinematografica e lo stimolavo a chiarirmi alcuni film neorealisti. Quando è terminato il lavoro, la partenza. Miccichè mi confessò che erano rimasti senza denaro e che avevano delle difficoltà a tornare a Roma. Io capii la situazione, gli proposi di prestargli cinquantamila lire. Miccichè accettò, dopo qualche giorno mi vidi recapitare un vaglia postale con la somma che gli avevo prestato. Del suo lungometraggio però non avevo notizie. Il caso volle che una sera, a cinema, prima della proiezione del film, venne proiettato un documentario: si chiamava Sassi 63, era a colori, rividi tutto ciò che avevo visto dal vivo qualche mese prima. Miccichè aveva fatto un ottimo lavoro.
Infine l’approdo nei Sassi materani di Pier Paolo Pasolini per girare Il Vangelo secondo Matteo…

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