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«La Basilicata ha tante storie da raccontare. Certi paesaggi sono già racconto. Ed oggi assistiamo nella nostra regione ad un grande fermento culturale e cinematografico». Ha proprio ragione il regista di Salandra Nicola Ragone, la Basilicata vive un periodo di grande fermento cinematografico e la prova di questo non sono solo le diverse produzioni che in questa terra arrivano a girare i loro film, ma è anche il fatto che diversi registi lucani fanno parlare di sé nei salotti buoni del cinema italiano, attraverso importanti premi e riconoscimenti. Tra i rappresentanti di questa nascita o rinascita cinematografica lucana, c’è anche lui Nicola Ragone che con il corto “Sonderkommando” qualche mese fa, ha vinto il Nastro d’Argento. Non è solo il fatto di ricevere premi, i registi lucani come Ragone riescono a portare una visione del cinema, un racconto artistico unico, un sapere e una conoscenza che sa di lucanità ma non troppo, non scadono nel folkloristico, riescono a portare emozioni con un tipo di narrazione nuova e particolarmente poetica. Ragone e gli altri stanno insegnando a questa terra più di quanto lei abbia dato a loro, questo è qualcosa di meraviglioso. In un’intervista concessa da Nicola a il Quotidiano del sud, entriamo nel mondo del suo cinema, con due consapevolezze: da una parte il fatto di non poter raccontare totalmente la sua arte nemmeno se le domande fossero state dieci volte quelle che sono e dall’altra quella di trovarsi a discutere con un artista che pur amando la sua terra è riuscito a scrollarsi di dosso quella maledetta rassegnazione giovanile che è il vero prodotto tipico della terra di Lucania.

Nicola, partiamo dalla fine. Cosa significa vincere il Nastro d’Argento per te?
«E’ importante ed ovviamente sono emozionato, ma è un premio che io dedico al progetto e a tutte le persone che hanno aderito a questa folle idea. E’ un premio al lavoro, all’impegno, al sacrificio che ci è stato in tutto il percorso di avvicinamento alla riprese e poi alla realizzazione e confezionamento di quest’opera. Sono contento per tutto il gruppo per questo risultato».

“Sonderkommando” racconta una storia abbastanza inedita. Secondo te la vittoria di questo premio è dovuta anche al coraggio di narrare questa storia?
«Non saprei rispondere al perché di aver vinto. Questo è un lavoro che porta un tema legato all’Olocausto, racconta una figura poco conosciuta, il sonderkommando. Quest’ultimo è un deportato che veniva usato dalle SS per lavorare all’interno dei crematori. E’ un aspetto abbastanza originale. All’interno di questa storia, c’è l’unica fievole speranza: la nascita di una storia d’amore omosessuale, tra un ragazzo ed un uomo che diventerà un sonderkommando all’interno del lager. Questa è l’unica luce di questi luoghi oscuri, anche se è un amore che non potrà mai materializzarsi; alla fine si incontreranno negli spogliatoi in due ruoli contraddistinti: la vittima e il carnefice. Chiudiamo il film con una donna che appende la sua camicia a righe sul’obiettivo, chiudendo simbolicamente il sipario».

Quanto conta nel cinema narrare una storia non raccontata e come scegli cosa raccontare?
«Conta tanto. Il pubblico ha bisogno di storie, ha bisogno di immedesimarsi nelle situazioni e nei personaggi. Ed è quindi alla ricerca anche di mondi sconosciuti. Il cinema è bello per questo, perché permette di esplorare mondi, permette di entrare in orizzonti inesplorati. Le storie mai narrate portano ad un senso di scoperta, ad un punto di domanda nel pubblico. Tutto parte da una suggestione, una lampadina che si accende nella mia testa che mi porta poi a scoprire una storia da narrare. Le storie possono essere le più disparate, la risposta è dentro ognuno di noi, ognuno quindi potrebbe raccontare storie diverse».

Insieme alla storia che deve essere forte ed inedita, nel tuo cinema ci sono altri elementi che usi in modo particolarissimo. Che posto occupano nel tuo creare le luci, le immagini, le atmosfere e gli attori?
«Io intendo il cinema come una sorta di opera d’arte collettiva, nella quale ogni reparto ha la stessa importanza. E’ un matrimonio che avviene tra tutti questi reparti. Tutto nasce da immagini ancora prima di scrivere: io parto da disegni, da schizzi, da atmosfere, è una cosa istintiva. Poi nasce la storia e la narrazione. Qui c’è uno sforzo di continua esplorazione fino a quando si giunge al lavoro con gli attori. Questa è una fase importantissima che faccio partire prima del set; sono contagiato dal modus operandi che si usa in teatro. Gli attori vengono preparati attraverso esercizi, attraverso il contatto con i luoghi e con lunghe chiacchierate di regia. Creato questo “bagaglio” li lascio molto liberi di creare nuove situazioni, divento al loro servizio. Lavoro poi molto sul buio cercando di illuminare ciò che è importante, lasciando l’oscurità in tutto il resto».

Hai realizzato anche un video musicale per la band lucana Aeguana Way. Quanto sei legato alla musica?
«Io suonavo il corno francese in banda e in orchestra. Fin da piccolo c’è stato un avvicinamento a questa disciplina. La musica mi accompagna in tutto il percorso artistico ed è un altro punto importante di tutti i miei lavori. Per me è da considerare utilissima anche per veicolare delle emozioni; in fase di sceneggiatura vengono ideate delle soluzioni in cui è già previsto l’utilizzo della musica. Mi accompagna anche in fase creativa. Penso che per fare il regista si debba avere in un certo senso una preparazione che vada anche a guardare ad altri ruoli e discipline, anche alla recitazione per esempio».
Nel 2008, nella tua tesi di laurea triennale ti sei occupato di Giorgio Strehler. Un regista ed innovatore del teatro considerato anche molto cattivo e maniacale. Quanto sei “cinico” come regista sul set?
«Sarebbe stato più cattivo lui. Io in realtà sono molto democratico e morbido sul set, tento di usare sempre un tono molto pacato, soprattutto quando si trattano temi molto forti. In questi casi è importante mantenere sul set un’atmosfera sacrale, come se tutti stessimo compiendo un rito. In questo caso mi piace mantenere un’atmosfera religiosa, poche parole e grande intesa anche a livello mentale. Sono certamente molto esigente e maniacale, un po’ di cinismo ci vuole sempre però votato ad arrivare a determinati risultati».
In “Sonderkommando” come in altri tuoi lavori, ci sono collaborazioni importanti, tra cui quella con Daniele Ciprì e con Silvia Scola. Quando si parte da questa terra, questi nomi sembrano irraggiungibili…
«E’ vero. Anche io avevo questa sensazione all’inizio, quella di non poter arrivare a conoscere queste personalità. Ho scoperto poi delle persone semplici di grande umiltà. E’ un limite che ci poniamo nella nostra terra, ma non è poi così difficile. Sono delle persone molto gentili e, soprattutto sono aperte a tutte le possibilità creative. Con ognuno c’è stato un primo contatto, una conoscenza anche in maniera virtuale, pian piano siamo arrivati a conoscerci meglio ed a parlare. Ho proposto questo progetto e mi hanno seguito in tutto il percorso».

Da giovane regista, ormai punto di riferimento per il cinema lucano cosa ti senti di dire su lavoro fatto fin ora dalla Lucana Film Commission?
«E’ sicuramente molto positivo l’apporto che la Lucana Film Commission ha offerto al territorio e a questa terra. Avverto un grande fermento. Ci sono molte persone che si stanno dedicando a questo percorso e mi fa molto piacere. Sono stati bravi a creare opportunità. Adesso chiaramente va avviato un percorso di crescita legato non solo ai progetti ma secondo me alla formazione. Creare delle figure con delle competenze specifiche che possono essere al servizio delle produzioni che vengono da fuori ma anche della Basilicata. E’ tempo di far crescere questo percorso positivo. La Lucana film Commission è un punto di riferimento in Basilicata»

Nuovo film in vista?
«Ci sono nuove idee riguardo a spettacoli teatrali, rispetto al cinema potrei avvicinarmi all’idea del mio primo lungometraggio ma è ancora presto per parlarne».

Concludiamo. Cosa è per lei la Bellezza?
«La Bellezza appartiene a tutti noi, è arte, estetica ma anche interiorità. Ognuno ha la propria Bellezza».

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