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PIGNOLA – «Invasore era allora e lo è anche oggi. L’utopia che ha mosso il Risorgimento e anche dopo la guerra la costituzione italiana, è una bellissima favoletta ma nella realtà la situazione è diversa. Si usano questi miti sull’Italia unita per tenere la gente in mano ai grandi poteri finanziari internazionali. L’invasore è ancora l’invasore e di briganti c’è sempre più bisogno». Alessandro Mannarino questa sera vuole trovare una Cava Ricci piena di briganti lucani perché, prendendo in prestito il titolo del suo terzo album “Al Monte”, nel paese della Compagnia della Varroccia, c’è il festival “Percorsi Diversi” che con lui chiude alla grande la terza edizione. Alessandro, verso cui l’uso del “lei” è solo per iscritto, si concede con la sua consueta umiltà ad alcune domande per il Quotidiano del sud.
Alessandro, parliamo subito del suo rapporto con l’associazione “La compagnia della Varroccia” di Pignola. Questo festival in parte nasce proprio da una sua idea.
«Un giorno eravamo lì alla cava, in una delle nostre gite a cavallo, io dissi che era il luogo perfetto per fare un festival e loro mi hanno preso in parola. Il concerto è tutto incentrato sugli strumenti a corda. Ciò che volevo fare è avere in questo tour più dinamiche e più spazio per le improvvisazioni ed è quello che succede nel live».
“Al monte” è un percorso, ha detto in alcune interviste, per ritrovare l’umanità. In cosa consiste questa sorta di ritorno all’essere umani?
«L’umanità per me è innanzitutto qualcosa di fisiologico. Ciò che ci rende esseri che funzionano. La cultura è piena di errori di concetto e di pensiero che vanno ad infliggere all’essere umano dei modi di vivere non naturali. La disumanità in questo periodo storico la trovo nel razzismo dilagante e nella cattiveria verso i più sfortunati. Questo credo sia stato un capolavoro malefico del governo Renzi che ha spostato il vettore della prudenza, grazie a Salvini, verso l’altro, verso l’immigrato».
Fa entrare nei suoi concerti i disoccupati a prezzo ridotto, viene da un quartiere popolare-operaio, da studente ha vissuto, come tanti ,in alloggi di fortuna. Quanto di questa sua provenienza umile porta sul palco?
«Devo dire che l’estrazione mia sociale conta molto, conta per non essere borghese dentro. La borghesia è come un tarlo, una malattia che rende tutto astratto. Io invece non riesco a farne a meno di usare la pancia e mantenere il rapporto con le persone. Io sto cercando di scrivere una mia storia con il pubblico. Secondo me l’arte fine a se stessa, puramente estetica, non ha valore, ci deve essere un fine, un rapporto con la storia, la realtà. Deve essere anche politica, perché deve provare a raccontare un cambiamento».
In questo disco ma nel suo modo di scrivere in genere c’è anche spazio per una critica forte alle religioni ed ad un certo tipo di spiritualità “istituzionalizzata”. Qual è la spiritualità di Mannarino?
«Il cattolicesimo fa distinzioni tra paradiso e terra, con aldilà e aldiquà e c’è anche l’idea di corpo e spirito. Io credo che noi siamo un tutt’uno. La mia spiritualità è la mia esistenza corporea, in questo tempo e in questo spazio, sono io. E’ sudare, abbracciarsi, cantare. Non c’è bisogno di una religione per essere persone buone. Io penso che ci voglia un nuovo umanesimo che parta dal corpo senza peccati originali. I cattolici sono le persone di cui bisogna meno fidarsi».
Concludiamo. Cosa è per lei la Bellezza?
«La Bellezza non è stare bene con le gente, è stare bene con una persona, quando dopo un rapporto, un incontro c’è un cambiamento. La bellezza per me è nei rapporti».

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