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DI LUCIA SERINO

IL RISORGIMENTO e il ruolo da protagonisti dei rivoluzionari meridionali nei moti che diedero vita, non senza spargimento di sangue, all’Europa moderna. È molto più di un giallo storico “Teste mozze”, il nuovo libro di Franco Maldonato (ed. Iride-Rubbettino 2015, pagg. 148, 12 euro) che, come spesso accade nei testi che sanno bene interrogare le fonti e interpretarle, presenta più di un profilo di attualità.
Si parte da Londra, con un flashback nel 1851. Poi il racconto in prima persona si sposta a Napoli e continua così in un avvincente andirivieni tra la Campania e l’Inghilterra. Nel luglio di quell’anno, un uomo politico inglese decide di interrogare il ministro degli Esteri della Regina Vittoria sulla scomparsa di un deputato del Regno delle Due Sicilie: i sospetti si concentrano su un prete di Sapri, che aveva già servito gli interessi di Casa Borbone. L’ambasciatore del governo napoletano a Londra, messo a conoscenza dell’iniziativa del parlamentare inglese, cerca di bloccare la discussione dell’interpellanza. L’affaire rivela così un “giallo”, che si dipana in una sequenza di fatti e di antefatti, che incrociano gli accadimenti del Risorgimento Europeo e i suoi principali protagonisti: Metternich, Palmerston, Mazzini, Garibaldi e Cavour, fino al sorprendente colpo di scena finale.I giudici di Lagonegro e il procuratore generale Pasquale Scura – futuro primo ministro di Giustizia del Regno Unito d’Italia – quando vorranno vederci chiaro saranno fatti oggetto di una vera e propria macchina del fango ante litteram. Una volta che questa si incepperà, quelli che oggi chiameremmo “poteri forti” – riecco l’attualità – ecciteranno la complicità di autorevolissimi uomini politici, come Benjamin Disraeli, ex primo ministro del Regno Unito, e di giornalisti già da tempo a libro paga di Ferdinando II di Borbone. È così che Maldonato va alla radice delle ingerenze del governo anglosassone nelle faccende italiane.
Tutto ruota intorno alla figura di Vincenzo Peluso, prete vicino alla corte reale, e alla vicenda dell’uccisione del deputato del Regno delle Due Sicilie per la provincia di Salerno e colonnello della Guardia Nazionale, Costabile Carducci, fatto prigioniero con 9 compagni ad Acquafredda di Maratea, sulla strada per Napoli, e poi trucidato il 4 luglio 1848. Di quella triste pagina di storia patria resta l’anello con il sigillo reale che Ferdinando II di Borbone regalò a Peluso durante la sua visita a Sapri, quasi una ricompensa.
Nella ricostruzione rigorosa di Maldonato riecheggia l’epica di altri ribelli come Carlo Pisacane, sbarcato con i suoi trecento a Sapri e trucidato anche lui con un ruolo non secondario da parte del potere ecclesiastico. Non è un caso che l’autore, avvocato di Sapri, porti avanti il ricordo di Pisacane in un’associazione molto attiva sul territorio.
Una storia tra cronaca e fiction che intreccia in più di un passaggio il Cilento, zona cuscinetto che ancora oggi testimonia, nella toponomastica oltre che nei ricordi tramandati oralmente, quella stagione di ribellione liberale: è il caso dei nove compagni incarcerati a Vallo della Lucania (che allora era il capoluogo del Cilento) e condannati dopo un processo sommario alla pena di morte con l’accusa di aver tentato di «sovvertire l’ordine pubblico e attentato alle persone dell’Augusto Sovrano della Real Famiglia» benché avessero gridato «viva il re!» e reclamato il ripristino della Costituzione del 1820. Vennero fucilati all’alba del 19 luglio 1828 nel luogo che da allora in poi si chiamò piazza dei Martiri.
Una scrittura nitida dove di romanzato ci sono solo i dialoghi relativi alla storia tra Costabile e sua moglie Vittoria Del Re. Tra insert documentali di pregiata valenza come la lettera originale dello statista inglese William E. Gladstone che riporta il dibattito parlamentare alla Camera dei Comuni, e il rigore tipico del metodo giuridico, la prosa pulita di Maldonato continua ad alimentare felicemente la sua narrazione di disvelamento della storia “dimenticata” del Mezzogiorno: da “La rivolta di Sapri-Cronaca di una sollevazione popolare nel Mezzogiorno degli anni Settanta” a “Mezzogiorno nuovo e antico”, da “La staffetta-Classi dirigenti e nuove autocrazie nell’ultimo Sud” a “Gioacchino Murat, Re di Napoli”, l’autore è tra i più attivi nella riscoperta di tessere di un mosaico che, unite tutte insieme, rappresenterebbero un corpus da divulgare nelle scuole – non solo in quelle meridionali – per indagare il passato e capire meglio il presente. Magari, evitando di commettere errori nel futuro.

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