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POTENZA –  E’ una strana emozione, quando si esce dal cinema “Due Torri” per la prima nazionale del film “La sorpresa” e ci si ritrova in via Pretoria, si ha la sensazione di essere entrati fisicamente nel film. Quegli stessi vicoli dove i personaggi si sono mossi mostrati dal grande schermo, si riconoscono tutti, nella loro oscurità resa ancora più angosciosa da qualche goccia di pioggia. Sul primo gradino delle scale che portano in via 18 agosto, c’è poi  una ragazza sola e minuta, simile all’Adriana della pellicola, non la si riesce a guardare in faccia, lei sicuramente ha una storia propria ma nella mente in quei momenti appare troppo simile a quella del film.

Il senso di terrore svanisce solo quando le luci tetre di Potenza lasciano il posto al caratteristico albero di Natale di luce sulle montagne di Tito. Del film “La sorpresa” colpiscono più di tutto due cose, da una parte il ruolo eccezionale del capoluogo lucano, una scenografia perfetta per raccontare la storia di un rapporto difficile tra padre e figlia.

Potenza è l’attrice principale del film, le sue atmosfere oscure, i suoi simboli di periferia decaduta sono suggestive sul grande schermo. Se a Matera si cerca la luce e l’aria di culture lontane a Potenza c’è un set naturale di non-luce, di chiusura, di solitudine urbana, per questo il suo valore evocativo è poeticamente infinito. E non è solo, come dice il direttore  Lucana film Commission Paride Leporace alla platea del cinema, lo sfatare di un mito, Potenza è una maschera cinematografica, Potenza sul grande schermo è il sogno segreto di Verlaine. Forse anche per questo, come annunciato dai produttori, è già in programma un altro film da giare nel capoluogo.

La seconda cosa che colpisce è in generale la scelta quasi “pasoliniana” di  utilizzare persone del luogo e in particolare emoziona Adriana Caggiano. Un volto giusto, un fisico giusto equivale sullo schermo a una reazione esatta a un’azione, cioè naturalmente dai volti scelti dal regista Ivan Polidoro nasce la storia. In questo contesto la dolcezza naturale di Adriana percuote subito l’animo, sembra deliziosamente indifesa nei confronti del rapporto con il padre interpretato da Mario Ierace e della malattia di quest’ultimo. Non è semplicemente incastonata perfettamente nel racconto, ma è quest’ultimo a plasmarsi sulle sue forme gentili e i suoi bellissimi occhi dolci.

L’Adriana che emozionata si muove all’ingresso del cinema “Due Torri” è molto diversa da quella del film, è elegantissima, fascinosa con un vestito a pois su tacchi vertiginosi che a suo dire sono la cosa che le creano più ansia, è eccezionalmente truccata per l’occasione ma  gli occhi però sono gli stessi, conturbanti e dolci: «E’ stata una bellissima esperienza che mi ha permesso di sviluppare la mia persona dal punto di vista umano – racconta Adriana –. Ivan è stato bravo a tirar fuori da me la naturalezza, a togliere quella maschera che uno si crea perché ha paura di non essere adatto. Non so se so recitare, so che mi ha insegnato a emozionarmi mentre recito».

Purtroppo le cose interessanti del film si fermano a due e quindi a parte Potenza e Adriana restano molti dubbi. L’audio del cinema non ha aiutato un film rumoroso. La pellicola di Polidoro è ridondante, con un montaggio un po’ troppo violento, anche se sono emozionanti le inquadrature in particolare dei dettagli. Stranissime poi alcune situazioni surreali in un film “terribilmente reale”, come l’apparizione di un cavallo e di due ballerini di tango, entrambe un mix di banale irrazionale. La storia è interessante, emoziona in sé, belli anche alcuni paradossi poetici, ma quel voler trasformare il film in una specie di thriller alla fine quasi stanca. Nonostante tutto, resta nella testa, almeno da Potenza a Tito.

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