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POTENZA – «Esistono buoni attori e cattivi attori. Per mia fortuna ho avuto grandi maestri da Turi Ferro, a Salvo Randone, Valeria Moriconi, Glauco Mauri e tanti altri. Faccio spettacoli con il loro insegnamento che è ciò che oggi manca spesso, la qualità professionale». Ci saranno costumi eccezionali e musiche degli anni ‘40, una scenografia curatissima, ci sarà una bella commedia scritta da Noel Coward, sarà utilizzata la tecnologia del video mapping e ovviamente sul palco si esibiranno un gruppo straordinario di attori, tra cui il maestro Leo Gullotta. “Spirito Allegro”, in scena questa sera, alle 21, al teatro “Don Bosco” di Potenza, nell’ambito della stagione pensata dal consorzio “Teatri Uniti” di Basilicata, è uno spettacolo a cui il pubblico non è più abituato: professionalità, suggestioni, completezza scenica e tanta ironia a innescare un sorriso trascinante ma pensante, fatto di situazioni e non di battute. E’ in sintesi questo il racconto della commedia che al Quotidiano del sud fa il maestro Leo Gullotta, che in un’intervista narra anche del suo essere “artigiano dello spettacolo” e delle evoluzioni non proprio positive del mondo del teatro di oggi.

Maestro, la commedia “Spirito Allegro”, quando fu rappresentata, nel 1940, fu accolta benissimo dal pubblico e male da una certa critica un po’ perbenista. Come si  fa umorismo e si fa ridere su un tema importante come la morte?

«Qualche critico ebbe a ridire nel 1940, ma il pubblico ne aveva bisogno, c’era la guerra. Stranamente come oggi, siamo attorniati dalla paura. E’ una commedia elegante, brillante, piena di ironia verso una classe sociale, l’ “Upper Class” inglese. Questa commedia aiuta a sorridere e giocare, a ritrovare anche quel teatro fatto di professionalità, gioiosità, eleganza e di ironia. Il pubblico ritrova il teatro con la “T” maiuscola, ritrova il piacere dell’occhio, i costumi, le musiche, le atmosfere con l’aggiunta di una parte tecnologica il video- mapping».

In cosa consiste la professionalità in un attore che si confronta con una commedia?

«La commedia è una delle cose più difficili per un attore, perché bisogna avere la conoscenza del linguaggio della commedia. Quest’ultima per quanto è scritta bene si ha necessità di un apporto tecnico da parte dell’interprete. Riguarda il ritmo, la qualità, la velocità, l’interazione con il pubblico».

 Tornando un po’ al sovrannaturale, parte del tema di questa commedia. Quanto nel lavoro dell’attore c’è di artigianato e quanto di sovrannaturale?

«Io mi ritengo sempre un buon artigiano dello spettacolo. Ho fatto dal doppiaggio, al teatro, al cinema, alla televisione, perché l’attore deve conoscere i diversi linguaggi, come un medico non opera solo appendiciti. A questo bisogna aggiungere l’essere sempre onesti con se stessi e con il pubblico. Forse in questi 54 anni ho costruito un rapporto di fiducia con il pubblico. Sanno che con me non ci sono spettacolini a metà, non ci sono furbate, c’è lo sforzo di uno spettacolo e di offrirlo alla platea in tutte la sua completezza scenica. Il talento ha bisogno sempre di essere allenato».

Concludiamo. Cosa è per lei la Bellezza?

«La Bellezza è il piacere di riempirsi gli occhi con la storia, la memoria, la linearità, il gusto, la leggerezza e la fantasia, per capire noi stessi».

              

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