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POTENZA –  E’ un manifesto politico sul teatro. La prima nazionale di “N.M.O. Stati minimali del teatro” di Gommalacca teatro ha chiuso il “Festival Città delle Cento Scale” al teatro Piccolo Principe di Potenza. Mimmo Conte (anche regista) e Carlotta Vitale sono in grado non solo di divincolarsi in diversi registri dal comico al drammatico (con tempi perfetti) ma anche di una complicità in scena commovente che permette un continuo scambio di personalità e di caratterizzazioni: in particolare dal delizioso prologo iniziale e alla scena costruita in un sipario lacerato come una ferita. E’ uno spettacolo che merita palchi importanti, scatena le viscere del pensiero. A fine spettacolo, per il Quotidiano del sud Mimmo e Carlotta autori anche del testo insieme a Vittoria Smaldone (scenografia di Paolo Baroni) si concedono ad alcune domande.     Esiste un confronto ideale tra questo vostro manifesto politico sul teatro  con la politica teatrale edoardiana de  “L’arte della Commedia?

Carlotta:«Nel nostro lavoro di ricerca drammaturgica è entrato a piene mani Eduardo De Filippo, abbiamo studiato l’Arte della Commedia come altre Cantate dei giorni dispari. La nostra era la necessità di arrivare a parlare della condizione che ci sentiamo di aver raggiunto, ci sentiamo nell’attimo prima che tutto crolli, che tutto ci venga addosso. Non c’era altro modo per liberarci da questo fantasma che scriverlo. Fonte e confronto per questo spettacolo è stato “La fortezza vuota” un testo scritto da Massimiliano Civica e Attilio Scarpellini, per commentare la riforma ministeriale sul teatro, l’unica salvezza che loro intravedono è la libertà, questo teatro dello scisma e dell’esodo». 

Nello spettacolo è come se si fossero drammatizzati perfino i rumori del palcoscenico e il monologo finale è fatto di spalle al pubblico. Perché queste scelte?

Mimmo: «Lei alla fine dà le spalle al pubblico, ma per l’ultima volta per essere sicura di aver chiuso definitivamente con quella storia, con quel tiranno. Questa scelta di volerlo fare di spalle è come dire: con me è tutto il pubblico che lo sta facendo. La scelta dei suoni è voluta per una scena nuda. Non a caso il teatro dello scisma e dell’esodo per noi corrisponde a un vento, un tempo che passa, lasciato libero. Il rumore di passi, di pietre che sbattono, di sedie, vuol dire “stiamo lavorando”, “ci siamo”».

Qual è il ruolo degli spettatori  in questo vostro manifesto politico?

Carlotta: «Tutto questo progetto è nato dalla conoscenza e dalla condivisione di un percorso con un bambino affetto da autismo. Ci sono sempre cose che interrompono e che frenano, queste ci fanno costruire muri. Questo progetto mostra una mente che si è chiusa e non vuole colloquiare, il tentativo è quello di riconnettersi con il pubblico».

Per mettere in scena queste interruzioni, parlate anche con Cechov…

Mimmo: «Abbiamo analizzato le interruzioni di Cechov che hanno a che fare con questo desiderio insoddisfatto che l’uomo ha continuamente. Ne “Il Giardino dei Ciliegi” ci sono delle persone che vorrebbero vivere delle situazioni ma non arrivano mai al dunque. Per noi è un parallelo forte nei confronti del teatro, io voglio realizzare qualcosa ma c’è un’interruzione, io parlo di qualcosa ma chi ascolta non comprende».

Concludiamo. Cosa è per voi la Bellezza?

Mimmo:«La Bellezza è fare il proprio lavoro onestamente».

Carlotta: «La Bellezza è ciò che il teatro riesce a costruire tra le persone quando ci muoviamo in un gioco che cerca l’altro, attraverso un spazio che si immagina insieme». 

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