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Ci sono ancora dubbi, domande senza risposte attorno all’evidenza della nuova ontologia del giornalista – o meglio – delle notizie che per circolare non hanno più bisogno di un tesserino o di una redazione?

Io, che mi sono formata nel “vecchio” mondo e, tra l’altro, in uno dei settori tradizionalmente considerati più a rischio, cioè la cronaca giudiziaria, ne individuavo, con resistenza, due:

  • La responsabilità giuridica strettamente connessa alla tutela economica in caso di richiesta di risarcimento
  • La sostenibilità economica del buon giornalismo svincolato da un sistema aziendale

Le risposte ad entrambi i quesiti mi sono venute a stretto giro.

Segnalavo, in un precedente post, come negli Usa i giornalisti sono equiparati ai blogger: se pubblica notizie di interesse generale anche un non giornalista è tutelato dal Primo Emendamento. In pratica si tutela la notizia e non il giornalista.  Nel caso i blogger (ma a questo punto qualunque cittadino) venga querelato per diffamazione, spetta dunque al querelante provare che certe affermazioni siano state fatte in malafede e che a seguito di esse, si sia subito un danno di qualche tipo.

Leggo poi con interesse un post di Mario Tedeschini Lalla che mi offre la risposta giusta al secondo dubbio. Scrive, in premessa:

 

Il giornalismo costa e quello buono, quello “che fa la differenza” costa anche di più – e purtroppo rende anche meno del giornalismo “corrente”. In tutto il mondo ci si interroga sui modelli di business, ma anche su possibili fonti alternative di finanziamento di questo“giornalismo che conta”.

Lalli racconta di un editore tedesco che ha creato un fondo extra per servizi speciali. Un milione di euro in bilancio per inchieste di qualità. C’è da provare invidia, ma anche da gioire. Prima o poi il vento delle cose buone arriva.

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