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CARO presidente, la Sua scelta di tornare da premier nel Mezzogiorno d’Italia è un segno di attenzione che stavamo aspettando in  questo vasto territorio che custodisce le migliori testimonianze di una nobile storia, ma che ha anche profonde ferite da guarire e nuove emergenze.

La sua visita ha caricato il Mezzogiorno di una grande fiducia: nella mente e nel cuore. C’è desiderio di riscatto, volontà di rinnovamento, esigenza di quella che lei ha definito “rottamazione” e che, un grande meridionalista, Guido Dorso, definiva semplicemente come la nascita di una nuova classe dirigente.

Perché è sempre questo il vero problema del Mezzogiorno: poter contare su cento uomini di acciaio, capaci di testimoniare con i fatti che si può lavorare per il bene comune.

Certo, i problemi sono tanti e drammatici. Dalla crisi della storica Bagnoli, al restauro di Pompei, alla Terra dei fuochi in Campania. Dalla vertenza delle trivellazioni per il petrolio in Basilicata, alla grande questione di Gioia Taro in Calabria, tanto per citare solo le più importanti emergenze del Sud.

Tutto questo, e altro ancora, esige un grande sforzo e un impegno nazionale ed europeo affinché il desiderio di credere e la fiducia si trasformino in azioni concrete.

Nel Sud oggi ci sono uomini con la schiena diritta che si sono fatti contagiare ulteriormente dalla sua azione propositiva e dalla voglia di cambiare il Paese. Gente che lotta nelle trincee più difficili per riaffermare i diritti della legalità e della trasparenza. Presenze attivissime in questo senso sono nella magistratura, nell’informazione, nelle associazioni, nella chiesa, nella società civile.

Questi meridionali ci mettono la faccia, troppe volte la pelle, per lottare contro la malapianta delle mafie che avvelena la vita di queste terre e non solo.

Per anni, mentre avanzava la desertificazione dei paesi del Sud e l’emigrazione riprendeva ritmi pari a quelli del dopoguerra, i governi latitavano o erano complici del divario che cresceva tra Nord e Sud.

Si è promesso tanto, si è realizzato poco. E anche quelle attività costruite con grande fatica, paralizzate da una sonnolenta burocrazia, sono state costrette ad arrendersi ad un credito sempre più vampirizzante rispetto al quale anche gli incentivi hanno fallito.

Il Sud è anche una “questione europea”. Si dice spesso che i fondi vengono erogati, ma che da queste parti gli enti non hanno la capacità di spenderli. I più furbi sono avvantaggiati, i veri titolari dei diritto penalizzati.

Non è forse il caso, signor presidente, di fare una riflessione su questa discrasia, ora che l’Italia, attraverso lei, guida il semestre europeo?

Nelle regioni meridionali oggi si registra un gap di democrazia dovuto alla marginalità con cui i problemi vengono affrontati dal governo nazionale. Per superarlo occorre un cambiamento radicale a partire dalla gestione delle risorse che non devono essere più richieste né ricevute con modalità assistenzialistica ma intercettate dalle migliori energie, in un processo costruttivo e di cambiamento reale.

Lo spazio, il Mezzogiorno, ma anche il tempo. 
Caro presidente, dobbiamo fare presto. Velocizzare i processi di trasformazione impaludati dall’inazione complice di chi l’ha preceduta nella responsabilità del Paese. Dobbiamo sostituire il presto e bene al tardi e male. Come su una cartina topografica le diciamo: noi siamo qui.

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