X
<
>

Condividi:
2 minuti per la lettura

Parto da una premessa: il Potenza non è una squadra che può ammazzare il campionato. E’ una squadra discreta, con buone individualità e con la garanzia di avere un tecnico che tante di queste individualità le conosce e sa come farle diventare un gruppo vincente. Anche dal punto di vista societario, il Potenza ha una “squadra” discreta, ma non tale da ammazzare il campionato. Devono essere superate le difficoltà tipiche di quando si mettono insieme persone che non si conoscono affatto, deve essere implementata la rosa – ci sia consentito questa analogia – con quegli innesti giusti per fare il salto di qualità.

Per questo la mia riflessione esula dall’aspetto tecnico e da quello strettamente societario: essa si indirizza sull’aspetto ambientale. Nei tanti anni di esperienza giornalistica vissuta direttamente o indirettamente mi sono spesso imbattuto in squadre che sono diventate da primato pur non essendolo. Una squadra da metà classifica può diventare di vertice anche per la spinta che le viene data dall’esterno.

Gran parte dei tifosi potentini – ovviamente escludiamo tutti quelli che non si sono fermati dinanzi a nulla, anche ad una trasferta da mille chilometri a Verona con la squadra già retrocessa da una sentenza – non sono ancora in grado di far compiere il salto di qualità a una squadra che da primato non è ancora.

Lo scetticismo di Potenza regna sovrano e non si fa riferimento solo alla campagna abbonamenti (detto per inciso: nell’anno successivo alla promozione del 2007 furono sottoscritte 142 tessere): basti pensare a quanti dopo il ko con la Gelbison in casa, a gran voce, fuori dallo stadio dicevano “nun gnè nient” (ci sia consentito il gergo dialettale, rende di più). A mio avviso il Potenza di questi tifosi non ha proprio bisogno, ma non solo.

Il mio pensiero è che le fortune di una squadra non le fa solo chi scende in campo o chi l’allena: le fortune sono anche determinate dall’aria che si respira dal di dentro, dal sentirsi gratificati anche dopo una vittoria tirata per i capelli o dopo un pareggio raggiunto immeritatamente all’ultimo minuto. E non certo criticati.

Ecco, mi sento di dire che i pessimisti possono pure restare alla porta. Mi sento di dire che chi non ci crede, può scendere dal carro. Mi sento di dire che chi perde di vista da dove viene fuori la storia del calcio a Potenza, può starsene a casa.

Faccio mia la frase di uno striscione ultras: vince chi più crede. E questo non vuol dire per forza arrivare primi, ma solo iniziare a costruire qualcosa che possa durare e dal quale si possa ricominciare.

Condividi:

COPYRIGHT
Il Quotidiano del Sud © - RIPRODUZIONE RISERVATA

EDICOLA DIGITALE