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Di lui ricordo un’intervista nella sua bella casa di Posilippo. E le lunghe direzioni a Napoli, qundo si riuniva il nostro partito, il Pri. Ma più che una guida politica il professore Giuseppe Galasso era per noi, giovani negli anni Ottanta, un faro di riferimento di cultura meridionalistica. Domani mattina Galasso terrà una conferenza all’Accademia dei Lincei a Roma (via della Lungara, 10) sulla questione meridionale.

Il tema non è scontato e non basta mai parlarne. Galasso, con la ricerca storica, dimostra come la divisione dell’Italia in due grandi regioni storiche, Nord e Sud, risale ai Longobardi, nel 568. Dunque non è un fatto postunitario. E questa è una sintesi del suo intervento

 

 

Una divisione dell’Italia in due grandi regioni storiche si produce solo con l’arrivo in Italia dei Longobardi nel 568, che diede davvero luogo a una crescente diversità fra le due aree. Alla fine, fra il Mille e il 1300 il Sud si qualificò per la sua economia agraria, il Nord in senso più manifatturiero, mercantile e finanziario.

 

Il dualismo non impedì, però, il formarsi di un legame unitario della penisola. La complementarità tra le due Italie stabilì fra loro un rapporto di “scambio ineguale” nel duplice contesto mediterraneo ed europeo. Il “sistema italiano” è stato, ed è, infatti, come un edificio con molte porte e finestre aperte e con tante relazioni con l’esterno influenti anche sui rapporti interni al “sistema”.

 

Il dualismo comportò una condizione di subalternità del Sud, ma non una sua assenza di attività e di iniziative. Già per svolgere la sua parte subalterna l’area più debole doveva avere attività e iniziative, per cui è potuta stare sul grande mercato con un’offerta interessante. Né basta.

 

Esposto a tutti i venti delle vicende storiche, il dualismo italiano ha avuto fasi alterne di espansione o recessione; e non è neppure il contrasto frontale di due aree omogenee, con tutto il negativo da un lato e il positivo dall’altro, poiché in ciascuna area vi sono zone di assai varia condizione. Le ragioni del dualismo sono state molteplici. Illustrandole, si dissolvono molti luoghi comuni tradizionali, che lo riportano alle Crociate o all’instaurazione del feudalesimo a opera dei Normanni.

 

Preminente rispetto a quella del feudalesimo appare, invece, la parte della monarchia per la sua gestione delle risorse del paese, poiché i suoi bisogni di capitali liquidi la resero sempre più dipendente dalla grande finanza del tempo. Ciò portò a favorire, in cambio delle risorse ottenute, la penetrazione delle potenze mercantili estere nel paese. Nel ‘300 di questa penetrazione furono protagonisti i mercanti toscani; poi, nel ‘500 e ‘600, i genovesi.

 

Già nel ‘400 si diceva, perciò, che il paese abbondava di ogni tipo di beni, ma gli stranieri vi si arricchivano e i meridionali, per la loro infingardaggine, restavano poveri: uno stereotipo durato tenace nei secoli (ma i mercanti sfruttavano, e anche, però, stimolavano l’economia locale). Col declino post-rinascimentale dell’Italia e del Mediterraneo quale mare dei traffici mondiali le cose peggiorarono.

 

Ma ciò non vuol dire che tutto il divario accumulato fra le due Italie dal ‘300 al ‘600 fosse svanito. La ricerca storica prova che il dualismo del paese preesiste al 1861, ma che da allora si sono avute condizioni per cui la precedente dualità è diventata la “questione meridionale”. E bisogna, perciò, distinguere fra loro il dualismo di prima e quello di dopo l’unità, salvandone sia la continuità che le novità e le rotture dal 1861 in poi.

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