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La lettera scritta dal consigliere regionale del Pd dell’Emilia Romagna, Gianni Bessi, al presidente del consiglio lucano, Piero Lacorazza, ha il merito di affrontare con chiarezza la discussione sul petrolio da una posizione improbabile in Basilicata, quella dei Sì Triv. E’ possibile, come ritiene Lacorazza che condivide una sensazione di Vittoria Pertusiello, che il consigliere abbia una posizione dettata da interessi di lobby. Del resto, a leggere il suo profilo twitter sembra essere l’energia l’interesse prevalente. Il consigliere democratico ha avuto però il coraggio di esprimere una posizione che in Basilicata non potrebbe essere espressa a meno di una tale quantità di vituperi, insulti e retropensieri da autocensurarsi. La posizione di Bessi in Basilicata è espressa soltanto dal presidente degli industriali, Michele Somma, che con il petrolio ci lavora. In Emilia, tra l’altro, il consigliere non è per nulla isolato. Anche l’assessore regionale alla difesa del suolo e della costa, Paola Gazzolo, non condivide il referendum abrogativo contro le trivelle. “La normativa attuale ci garantisce”, ha affermato più volte. “Se si abroga si ottiene l’effetto paradossale di perdere importanti livelli di sicurezza”. Ed è proprio l’Emilia ad aver siglato una nuova intesa con il Mise portando a casa un buon risultato di autodeterminazione. La Basilicata che fornisce all’Italia un contributo energetico di gran lunga superiore, sembra essere lontanissima da questo procedere chiaro e soprattutto unitario, avvitata nel dramma di una terra svenduta, sfruttata, sottosviluppata. Nimby noi? Si rizela la politica. “E’ ingiusto”. Eppure qui da noi chi tocca i fili muore.

 

Come chiamereste quello che mise in fuga dalla sua terra il povero Rocco Papaleo reo di aver fatto una pubblicità per Eni? Cos’è il Nimby se non, ad esempio, i paletti di una associazione materana di jazz che si fregia del fatto di non ricevere contributi da compagnie petrolifere? Come considerate la protesta di quest’estate per la navetta estiva messa a disposizione da Total a Corleto? Cos’è la pretesa, non mi ricordo più di chi, di evitare qualunque accostamento del logo Matera2019 alle estrazioni. Cosa sono gli insulti subiti dalla nostra collega Angela Pepe per il resoconto di un’assemblea sul petrolio in Val d’Agri? Cos’è stata la moratoria di De Filippo se non un argine alle proteste che non riusciva più a governare? Cos’è oggi la posizione di Pittella, diviso tra Renzi e la compagine dei governatori meridionali, se non un tentativo di stare al centro? Qual è il timore di fondo? Quello di un’opinione pubblica che esprime sul terreno delle politiche ambientali un malessere derivante da altro e che però la si concilia con la pretesa ricorrente, a ogni proposta e iniziativa di esponenti pubblici, associazioni, liberi pensatori, di rivendicare il buon utilizzo della royalty a sostegno delle proprie cose. Il meccanismo mentale è: 1) non vogliamo il petrolio ma vogliamo le royalty; 2) Le royalty son mal spese, di sicuro potrebbero essere impiegate meglio su quello che stiamo proponendo. Quante se ne sono dette per il deficit del comune di Potenza? E quante ancora a proposito della “riconversione della card benzina? Soldi nostri, dicono. Dove il nostro sottende l’idea della revenue di una risorsa che si trova sotto la terra che calpestiamo.

 

Il presidente Lacorazza è troppo internauta per non essere consapevole che il refrain degl’insofferenti sociali lucani è tutto avvitato sul concetto della “terra che voi politici vi siete venduti ai petrolieri”. Posizione che sottende la rabbia, appunto, di un mancato tornaconto tangibile da parte di chi desidererebbe una rendita o un vitalizio a vita per essere nato qui. Quel Nimby di Bessi non mi è sembrato rivolto alla classe dirigente lucana, ma ai no forse più percepiti che reali (dov’era il popolo a Policoro, quanti studenti filonisti c’erano a novembre a Potenza?) da parte della collettività e che comunque limita e condiziona l’azione del governo regionale. Quanto più titubante è la politica, tanto più estrema è la rivolta. Al netto di tutto lo scibile umano che deve venire in aiuto in tema di sicurezza, questa regione considera il petrolio una risorsa? Sì o no?

Sono pochissimi, scommetto, quelli che riescono a differenziare con precisione la posizione che hanno Pittella, Lacorazza, Folino. L’argomento è ostico di per sé. Ma l’approssimazione e la scarsa propensione a studiare fa rimanere nell’immaginario popolare i pesci morti nella diga, o il sindaco di Pisticci con l’ampolla dell’acqua sporca e non le slide che Pittella da mesi si affatica a portare in giro per la Basilicata per spiegare sostanzialmente tre punti (non un barile in più degli accordi del 98 che però vanno rispettati, no alle trivelle off shore, i risultati sull’Ires e sul patto di stabilità), o i numerosi post di Lacorazza che rivendica il rispetto dell’autonomia decisionale dei territori e un piano delle estrazioni concordato, o le dichiarazioni di Folino che richiama il Pd a farsi carico di un’intesa istituzionale col governo perché la Basilicata porti a casa il maggior bottino possibile come invece sembra aver fatto con scioltezza l’Emilia.

 

La cosa assolutamente condivisibile della lettera di Bessi è il riconoscere che l’attività industriale non è di per se stessa incompatibile con quella turistica. Ravenna in effetti non richiama l’idea delle piattaforme in mare, ma la tomba di Dante e i mosaici bizantini. E, su questo sfido a fare una verifica, con chiunque non lucano parli della Basilicata ti chiedono oggi di Matera. O associano Potenza alla neve. Il petrolio è argomento sconosciuto. Io penso che Pittella abbia fatto bene, lo scorso inverno, a protestare più volte contro trasmissioni che, con la solita musica cupa di sottofondo tipo “Chi l’ha visto”, hanno ridotto la Basilicata a una terra dove nascono agnelli malformati. La visione più corretta (è mio amico e ne condivido le idee) è mettere insieme, come ha fatto Andrea Di Consoli nel documentario trasmesso domenica mattina su RaiUno (share altissimo alle 10 del mattino) la tradizione con l’orgoglio innovazione di realtà come il centro di geodesia spaziale (significativo che il ricercatore intervistato ricordasse come i primi tempi circolasse la paura che il centro fosse responsabile di siccità) e i problemi aperti dello sviluppo connesso alle estrazioni e all’utilizzo delle royalty.

Se mettessimo insieme le posizioni espresse ieri sia sul nostro giornale che sulla Gazzetta da Vincenzo Folino con il risultato ottenuto da Lacorazza sul referendum abrogativo (dall’esito tutto da verificare) con la nuova politica dei governatori del Sud che sta praticando Pittella, avremmo un quadro perfetto. Ma il quadro perfetto non c’è, perché è il Pd che non c’è. Del resto quando Pittella dice di non essere responsabile per le scelte degli ultimi vent’anni cosa sta facendo se non smarcarsi dal suo stesso partito? Sta rompendo, cioè, una vecchia regola degli obbligati in solido della politica lucana, rimarcando il suo solipsismo, o le sue alleanze che possono mutare in corso d’opera (significativa l’astensione in Consiglio di Giuzio, corrente Antezza).

 

Sullo sfondo di una guerra interna mai sopita, molte posizioni nascano da valutazioni di opportunità personale e di riposizionamento, piuttosto che da reale convinzione. Non ho mai sentito dire un politico lucano con chiarezza (Folino in realtà lo scrisse proprio su questo giornale e lo ribadisce spesso in premessa) che il petrolio sia una risorsa. E non è neppure vero che non ci sia stato sviluppo connesso alle royalty. Non ci sarebbe stata l’università senza le royalty. Il punto è che il bene comune è percepito come bene di nessuno e il malessere sociale di questo periodo maledetto fomenta la rabbia. Ovviamente è incomparabile, ad esempio, il sistema del welfare lucano con quello dei paesi del Nord Europa dove pure si estrae (e in mare). Ma questo è un fatto culturale.

Se poi guardiamo Matera e l’industria della creatività che si sta sviluppando e che si svilupperà ancora di più, quale nesso ha con le estrazioni? Non esiste, insomma, uno sviluppo unidirezionale. Il vero rammarico di questa enorme e infinita discussione che più si elabora e più affatica la comprensione, è essere stati snobbati completamente da un presidente del Consiglio che sta al governo mentre sta per decidere sul titolo V. Non una parola spiegata ai lucani. Come se fosse la terra degli ultimi che deve subire le scelte in silenzio. Ed è forse questa percezione che ha spinto Pittella a non sottrarsi al dialogo con gli altri colleghi del Sud, rischiando altrimenti di rimanere isolato in una battaglia a tutto vantaggio dei territori vicini senza ottenere in cambio un aiuto sostanziale da Renzi che, diciamo la verità, non ha risparmiato offese in questi mesi lasciandolo sostanzialmente solo sulle barricate. Incalzare il governo, dunque, è cosa buona e giusta. Cercando di spiegare ai lucani esattamente qual è la posta in gioco. Perché non è da sottovalutare neppure quello che diceva Latronico l’altro giorno al Quotidiano a proposito del piano infrastrutture: quante volte dobbiamo mettere in conto queste infrastrutture? Una volta erano nel memorandum, una volta sono l’impegno per Matera capitale, una volta erano nel piano Cipe. Compaiono e ricompaiono all’occorrenza. Ma solo come fantasmi.

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