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Stamattina, mentre facevo colazione, ho aperto il tablet e mi sono imbattuto in una lettera aperta scritta da un certo Francesco Calabrò al procuratore Nicola Gratteri, noto non solo per la sua attività professionale, ma cnhe per il suo amore per un orto (di cui è molto geloso, tanto che l’anno scorso mi ha negato una vistita all’interno di quello spazio intimo che avevo programmato per la rubrica “Mollo tutto… e vado per orti”) di cui avevo parlato, non svelando il nome del personaggio, in un post precedente.
La lettera del ricercatore universitario non necessita commenti: c’è tutto…

“Gentile giudice Gratteri, tra i tanti aspetti della sua storia che hanno da sempre suscitato la mia ammirazione, ce n’è uno che oggi mi appare particolarmente significativo: la sua passione per la sua Terra testimoniata attraverso un gesto semplice, quello della coltivazione diretta di un orto. La Calabria, per risolvere i suoi tanti problemi non ha bisogno di soldi (che in genere alimentano i problemi anziché risolverli…) quanto di gesti simbolici che facciano capire ai calabresi qual è la direzione da seguire, quali gli esempi da imitare, come cambiare mentalità. Mi perdoni se pensavo di prenderla alla lettera, ma probabilmente lei non conosce ciò che succede a poca distanza da dove abita. Sono un ricercatore universitario e per questioni disciplinari mi occupo proprio dei temi dello sviluppo della Calabria: il suo esempio mi aveva fatto pensare che avevo l’obbligo morale di prendermi cura personalmente degli uliveti dei miei avi che, ironia della sorte, si trovano a poche centinaia di metri da casa sua.
Ma forse mi sbagliavo. Sono anni che i terreni della mia famiglia sono oggetto di continui danneggiamenti: noi denunciamo, forniamo agli inquirenti ogni informazione utile all’identificazione dei colpevoli (ex galeotti assolti, guarda caso, dal reato di associazione mafiosa, oggi conduttori di note aziende agrituristiche), ma le nostre denunce finiscono per ritorcersi contro, veniamo anche condannati a pagare le spese processuali. Ora il livello delle intimidazioni ha superato il limite: pur di costringerci a svendere le nostre proprietà, nei giorni scorsi sono stati incendiati i nostri ulivi secolari in nostra presenza (!) e i carabinieri non sono venuti neanche a constatare i fatti! Adesso basta, non intendo più perdere la mia serenità, mettere a repentaglio la mia vita e quella dei miei cari nel generale disinteresse (o peggio contro la collusione) delle istituzioni. Visto che a lei è consentito ciò che non è consentito a me, fissi un appuntamento da un notaio di sua fiducia e io le regalerò i miei terreni: meglio a lei che alla ’ndrangheta. Mi creda sinceramente suo”.

Caro Francesco, se puoi, non mollare.


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