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di ANDREA DI CONSOLI

OGGI pomeriggio a Matera si parlerà di emigrazione intellettuale, e ne discuteranno, tra gli altri, il presidente della giunta regionale Vito De Filippo, il direttore della Luiss Pierluigi Celli e il presidente della Confindustria lucana Pasquale Carrano. Da almeno due anni il “Quotidiano della Basilicata” sta affrontando costantemente la “questione giovanile”, in primis con la mappatura – che oggi proporremo in maniera compiuta e capillare – delle eccellenze dei trentenni, la maggior parte delle quali si realizzano altrove. Conosciamo bene la posizione di De Filippo su questo tema. Per il nostro presidente ci sono troppi laureati, e la Basilicata non ha modo di valorizzare tutte queste eccellenze culturali e tecniche. Quindi, secondo il presidente, la soluzione è una riduzione dell’alta formazione, oppure l’inevitabilità dell’emigrazione. I giovani, emigrando in gran numero – e spesso in maniera irreversibile – sembrano dargli ragione. Per rimanere in Basilicata, perciò, studiare non serve. Servirebbe, piuttosto, fare gli artigiani, gli agricoltori, gli operai non specializzati, ecc. Perché se ci si laurea, il rischio è quello di dover emigrare – e di dover emigrare, per giunta, con una sorta di benedizione della politica. I giovani, anziché provare a smontare quest’equazione (laurea=emigrazione), fanno fagotto e in Basilicata non tornano più. Tutto questo invecchia la nostra popolazione, impoverendo le possibilità di ricambio e di dinamismo. Ora, siccome la Basilicata è una regione molto vasta e ha molte risorse naturali (petrolio, acqua, mari, monti, terreni agricoli, ecc.), e avendo negli ultimi quarant’anni ricevuto somme dallo Stato per investimenti produttivi pari a miliardi e miliardi di euro, perché il risultato è una situazione nella quale nemmeno 500.000 persone (quanti, di fatto, siamo) riescono a trovare lavoro e futuro? Si dice: questa è la situazione, non c’è scampo, è inutile arrovellarsi. Eppure ci domandiamo: con una diversa politica le cose sarebbero andate diversamente? O dobbiamo presumere che sulla nostra terra ci sia una sorta di “condanna eterna” da parte di qualche malevola divinità? Si dice: sì, però da noi l’iniziativa privata imprenditoriale è debole, oppure è assistita e soffocata dalla politica. E quindi è inutile prendersela con la politica, perché comunque da noi si è incapaci di fare impresa moderna ed efficiente. E perché noi non sapremmo fare impresa moderna ed efficiente? Forse perché siamo pochi, e perché il primo mercato è quello interno, e i nostri giovani – che in maggioranza emigrano – spendono i loro guadagni altrove? Oppure perché non appena si apre un’attività importante la politica fa pressioni per far assumere un personale non adeguato e scadente? O, infine, perché semplicemente c’è poca voglia di lavorare? O, in ultima analisi, perché c’è invidia e risentimento sociale, e non appena qualcuno fa qualcosa parte subito la ridda delle malevolenze e delle diffamazioni? E’ inutile: è un cane che si morde la coda, questa discussione sui giovani e sulla loro non occupazione. Il dato di fatto è che i giovani più dinamici vanno via, e quelli che restano – in grande maggioranza – si arrangiano con lavoretti, contrattini, piccole cose così (oppure si affidano alla politica per entrare in qualche Bengodi regionale o sub-regionale). La domanda che ci poniamo è dunque questa: è possibile cambiare questo stato di cose? No, perché se le cose non possono cambiare in assoluto, è inutile che ne parliamo. Una cosa che ci sconcerta è che i giovani che vanno via dalla Lucania emigrano nella maggior parte dei casi ben sapendo che né vorranno né potranno più tornare. Perché? Perché questa totale sfiducia per una terra che pure ha molte risorse su cui contare? Forse c’è qualcosa che non va, finanche nel modo di affrontare il problema. Non vorremmo perciò che il professor Celli e il presidente De Filippo sancissero ancora una volta l’inevitabilità dell’emigrazione (in Italia per i meridionali, all’estero per i non meridionali), perché sarebbe un modo per mettere una pietra tombale sul futuro dei giovani lucani. Se studiare non serve a niente (come parrebbe) che si abbia almeno il coraggio di chiedere l’abolizione della Facoltà di Lettere all’Università di Basilicata, che è un inno simbolico alla disoccupazione intellettuale e, quindi, all’eterno precariato in giro per l’Italia. Se si deve “tornare alla terra” (auspicio mussoliniano), che la si smetta almeno di illudere tanti padri di famiglia che mantengono con grandi sacrifici i loro figli all’Università. E si dica chiaramente che la disoccupazione giovanile è figlia dell’eccessiva scolarizzazione. Non saremmo pienamente d’accordo, ma ammetteremmo l’onestà della posizione. Ognuno dica perciò la sua, ma affrontiamo finalmente il problema seriamente, perché non solo la Basilicata è demograficamente esile, ma è anche la Regione più povera d’Italia. Evidentemente c’è qualcosa che non va. Sì, ma cosa?

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