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I TRE fattori internazionali che fanno prefigurare una possibile uscita dalla crisi epocale che sta affliggendo il nostro Paese e cioè l’euro in discesa rispetto al dollaro, l’immissione di liquidità da parte della Bce che lo renderà ancora più debole, attuando di fatto una sostanziale svalutazione della moneta europea ed il prezzo del petrolio ai minimi storici, apporteranno notevoli benefici anche all’economia lucana, rilanciandone l’export.
Settori favoriti da tale contesto sono la Fiat Chrysler di Melfi,il mobile imbottito del materano, il turismo, con i relativi effetti che potranno estendere sull’intera economia regionale.
Primi, ma chiari e forti segnali in questo senso sono già evidenti oggi: le esportazioni lucane sono cresciute nel 2014 del 9,9% rispetto al 2013, con un picco del 32% che ha riguardato l’export nei paesi dell’unione europea. Si tratta di performance più alte tra le regioni italiane e siamo solo all’inizio. Nel 2015 ed anni successivi ragionevolmente assisteremo a tassi di crescita molto più consistenti, dato che il principale ramo di attività legato alla Fiat-Sata di Melfi produrrà effetti significativi a partire dall’anno in corso, recuperando terreno anche nei confronti dei paesi extra UE con i quali i rapporti commerciali nel 2014 hanno registrato una diminuzione del 21,8%.
Se guardiamo all’altra faccia della medaglia e cioè la produzione locale, la situazione si prospetta molto più complessa: il sistema produttivo lucano è basato sulla piccola impresa locale che poco o nulla partecipa alle esportazioni, anzi continua a basarsi su una domanda interna di beni e servizi molto debole.
Il rischio che il dualismo tra le virtuosità espresse dalla grande impresa localizzata in regione e le insufficienze produttive locali tenda a crescere è reale.
In fondo è questo il vero limite alla crescita regionale: una sostanziale separazione tra big players esterni portatori di innovazioni produttive ed impresa locale, tutta ripiegata su attività tradizionali a basso valore aggiunto.
Il quadro si fa fosco se guardiamo al ruolo che la Pa svolge in termini economici. Il recente rapporto della Camera dei deputati e del Cresme relativo all’andamento delle opere pubbliche dal 2001 ad oggi rileva che in Basilicata sono state portate a termine opere per 237 milioni di euro avanti ai 1836 stanziati, un dato che dimostra ancora una volta le inefficienze e lentezze della Pa nazionale e regionale.
La questione diventa ancora più pesante se osserviamo le politiche e misure messe direttamente in campo dall’ente regione Basilicata.
Limitiamoci a osservarne le più recenti. Sul reddito minimo si cittadinanza sfatiamo innanzitutto un mito: non è vero che la Basilicata è l’unica a varare un provvedimento del genere, altre regioni lo hanno fatto (vedi Campania); stiamo , tuttavia, attendendo che si dia conto sugli effetti prodotti. In Basilicata si è partiti con l’allora governatore Bubbico varando una misura del genere che nel tempo ha avuto qualche variazione nominalistica, parlando di Copes. Pensare di avere dati significativi sui risultati conseguiti è pura utopia. La regola aurea della regione è deliberare senza conoscere. Ho sotto gli occhi una dichiarazione fatta nel 2013 da Enrico Gambardella, uno di più bravi sindacalisti lucani, secondo la quale il progetto Copes è servito finora per molti comuni che hanno approfittato di risorse umane a costo zero, ma che si sono guardati bene di avviare progetti concreti di reinserimento lavorativo per i percettori del sussidio. L’ente regione è indietro anni luce sul problema della povertà: strutture di volontariato come la Caritas hanno approcci molto più adeguati, affrontando il tema su due livelli : quello dei bisogni complessivi delle famiglie e quello delle relazioni tra le famiglie povere a la comunità nel suo complesso, non limitandosi dunque a dare burocraticamente qualche soldo al povero.
In prospettiva lo spazio assistenziale è destinato ad ampliarsi con la social card, nell’ottica della moltiplicazione della spesa corrente per obiettivi clientelari. Siamo sempre nel contesto di politiche buone per “arare il mare” . Ogni misura ha teoricamente come finalità quella di creare nuova occupazione, sviluppo, ma si ferma sempre al primo stadio, quello della erogazione del sussidio,dando luogo a platee di beneficiari che diventano precari stabili, spingendoli verso la passività nella ricerca del lavoro o verso il sommerso.
Ed il perché è facilmente intuibile: prima dei provvedimenti suddetti (dalla forestazione al reddito di cittadinanza, ai lavoratori socialmente utili, ai lavoratori in mobilità) non ci si pone mai il tema del possibile successo dell’intervento, quello della governance dei processi da attuare. Senza una innovativa struttura organizzativa non si va da nessuna parte. Veramente l’area del vasto precariato creato dalla regione si può gestire senza una agenzia a gestione manageriale delle problematiche ambientali e con gli attuali centri per l’impiego?

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