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La diga del Pertusillo

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POTENZA – Potrebbe arrivare dai batteri la prova dell’estensione alle acque della diga del Pertusillo delle perdite di greggio dal Centro olio dell’Eni di Viggiano. Perdite scoperte a febbraio del 2017, per cui è appena iniziato il processo per disastro ambientale a carico di 3 ex dirigenti del cane a sei zampe.
E’ quanto emerge dalle ricerche condotte dagli autori di due distinti articoli pubblicati, in inglese, nelle ultime settimane su altrettante riviste scientifiche.

Il primo, comparso su Water Research X della casa editrice Elsevier, si intitola “Electrogenic and hydrocarbonoclastic biofilm at the oil-water interface as microbial responses to oil spill”, e ha preso di mira, in particolare, il biofilm che verrebbe creato da alcuni batteri in risposta alla presenza di idrocarburi. Mentre il secondo è stato pubblicato su “Environmental Science and Pollution Research”, e si intitola: “Characterization of microbial response to petroleum hydrocarbon contamination in a lacustrine ecosystem”. Quindi ha preso in esame lo sviluppo di colonie di batteri “mangia petrolio” nel Pertusillo.

Nei giorni scorsi il lavoro dei ricercatori dell’Istituto superiore di sanità, coadiuvati anche da due colleghi della Sapienza e dell’Università di Calcutta, in India, è stato rilanciato dall’associazione Cova Contro.
Gli ambientalisti hanno colto l’occasione per sollecitare l’Arpab a dotarsi degli strumenti necessari per il monitoraggio di fenomeni di questo tipo. Da capire, tuttavia, ci sono anche i possibili riflessi sul processo in corso, a Potenza, per la fuoriuscita di greggio dall’impianto Eni.

Gli autori dei due articoli, infatti, danno per scontata l’estensione della contaminazione fino all’invaso che fornisce di acqua potabile circa un milione di cittadini, pugliesi e lucani. Di diverso avviso, però, è la compagnia petrolifera, che da 4 anni a questa parte si è fatta carico della messa in sicurezza dell’area interessata dalla fuoriuscita.

Uno dei grafici pubblicati nell’articolo su “Environmental Science and Pollution Research”.

Eni stima di aver recuperato in massima parte le circa 400 tonnellate di greggio disperse sotto il centro olio. Ma anche i pm titolari dell’inchiesta sull’accaduto si sono mostrati oltremodo prudenti nella perimetrazione dei danni provocati dalle perdite dai serbatoi di stoccaggio dell’impianto valdagrino. Tanto è vero che nel capo d’imputazione per disastro ambientale a carico dei tre dirigenti della compagnia si parla soltanto del «reticolo idrografico esistente». Reticolo che sarebbe stato «menomato» dalla barriera installata per raccogliere le acque in uscita dal canale di dreno sotto l’area industriale di Viggiano. Proprio per evitare il propagarsi della contaminazione.

Contattate dal Quotidiano del Sud, Eni e Arpab si sono riservate di commentare la vicenda nelle prossime ore.

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