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Il Centro olio Total "Tempa Rossa" a Corleto Perticara (PZ)

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Entroterra spacciato senza sanità, scuole e trasporti ma anche sportelli bancari e postali, edicole, farmacie e wi-fi. Tra royalties spese male e carenza di servizi la regione è penalizzata dalla fuga dei giovani e dalla scarsa qualità della vita


IL signor Francisco Petrone, uruguaiano di origini lucane, nei giorni scorsi si è imbattuto nella notizia di Calvello che, nonostante i 30 milioni di royalties in 10 anni, continua a spopolarsi. «Miei genitori an partutto de Brienza al Uruguay en el anno 1957 ogi se sigue despoblando?». Possibile che continua il calo demografico? «El petroleo no e sempre sinonimo de richezza, in Venezuela e il paise piu produtore de petroleo e il piu pobre di Sud America»: più petrolio, più povertà, meno residenti… Ma non doveva essere il contrario? Più che un commento social, quella dell’emigrato Petrone è un’analisi spietata, in tre righe, del declino inesorabile di una regione negli ultimi sessant’anni. Un declino parallelo – ma si direbbe “in direzione ostinata e contraria” – alle estrazioni petrolifere. Che al contrario crescono, come dimostra Tempa Rossa.  

L’impressione è una, e non sono chiacchiere da bar perché come vedremo ci sono le cifre a sostenerla: se arrivano i soldi delle royalties – spesi peraltro non sempre al meglio, lasciando tracce che non siano sagre, marciapiedi e palazzetti dello sport – però mancano i servizi, lo spopolamento è quasi matematico.
Senza scomodare report e studi che pure non difettano e riaprono la ferita a cadenza quasi mensile, la sparizione dei servizi (anche) dalle più o meno piccole città del petrolio racconta un entroterra spacciato. Niente sanità, scuole e trasporti, ma anche sportelli bancari e postali, edicole, farmacie, wi-fi. È come se l’oro nero alimentasse un canale separato e autonomo, convogliando  milioni d’euro altrove.

IL CASO CALVELLO – Prendete il caso di Calvello, appunto: tra il 2008 e il 2019 sono piovuti quasi 30 milioni, ma i giovani hanno continuato a emigrare: la popolazione è diminuita del 12,5% nel periodo 2011/2018 (LEGGI LA NOTIZIA). Tanto che il consigliere comunale Francesco Vitacca ha suggerito di «pensare all’impiego delle royalties in maniera diversa, non affidandole alle sole scelte delle amministrazioni locali, le quali per quanto illuminate e capaci, non riusciranno mai a porre in essere azioni di sviluppo di ampio respiro, organiche e durature, soprattutto in termini occupazionali. L’intera area della Camastra non potrà mai svilupparsi se non viene portata fuori dall’isolamento viario che neanche il raddoppio o la triplicazione delle royalties al comune di Calvello potrebbe compensare».
Intanto, una provocazione: distribuendo quei 30 milioni ai 1.915 abitanti di Calvello (erano 2.212 nel 2001, 3.077 nel 1981) si regalerebbe un segno tangibile di tanta ricchezza, e magari un impegno a non andarsene…

L’ISOLAMENTO INFRASTRUTTURALE – Come Calvello sogna una galleria che attraversi il massiccio del Volturino (un tunnel di appena  2 chilometri ma che sboccherebbe in meno di 15 minuti nella Val d’Agri), tutti i Comuni vallivi hanno rilanciato di recente l’idea di un collegamento all’Autostrada del Mediterraneo.
Sì perché il dibattito sul rinnovo della concessione petrolifera Val D’Agri si è avvitato sul ruolo della Giunta regionale nel confronto monodirezionale – e occulto, secondo opposizioni e sindacati – con le compagnie, eppure i territori hanno urlato le loro rivendicazioni contro l’isolamento: la paura di chi abita la Basilicata interna è proprio questa, non vedere effetti tangibili della ricchezza legata al petrolio e al contrario dover rinunciare ai servizi più elementari. Continuando ad assistere all’addio delle nuove generazioni.
Il cane a sei zampe del sogno di rinascita si è trasformato nel cane rabbioso che si morde la coda.
Come uscirne? Di certo non basteranno le colonie di anziani che si favoleggia ripopoleranno i borghi a mezzo legge nazionale: ammesso che la vecchia idea di Salvini sul modello Portogallo diventi prima o poi realtà, non si può certo dire che sia una iniziativa proiettata al futuro. Manca quella «visione» di cui politici locali e nazionali si riempiono la bocca in campagna elettorale.
Magari, piuttosto, ci vorrebbe una legge speciale che non tenga conto dei numeri, dal reddito procapite ai parti del singolo presidio sanitario, ma metta al centro parametri elementari come i servizi: indicatori che alimentano le presenze e ne traggono linfa a loro volta.
Qualche numero, intanto, per farsi un’idea del fenomeno.

IN DIECI ANNI È SPARITA UNA CITTÀ – La Basilicata si impoverisce, si spopola e invecchia: diminuiscono le nascite, aumentano i decessi, i giovani continuano a emigrare, l’età media sale inesorabilmente. In dieci anni la regione ha perso una città grande quanto Melfi. Non solo: mentre la popolazione nella classe d’età 0-14 anni è calata dal 14,2% del 2007 al 12,3% del 2017, nello stesso periodo la popolazione over 65 è aumentata dal 20,1% al 22,3%.
Secondo le previsioni più fosche, la Basilicata entro il 2045 perderà 89mila abitanti, di cui 62mila nella classe d’età 0-29. Ancora più problematica sarebbe la situazione nel 2065, con una flessione della popolazione residente regionale stimata in circa 179mila unità e complessivamente sotto i 400mila abitanti. Non lontane le cifre della Svimez: l’Associazione per lo Sviluppo dell’industria nel Mezzogiorno stima che i lucani che nel 2017 erano 570.365, ad inizio anno 2065 saranno 403.670 (quasi 167mila unità in meno).
E ancora: dal 2007 a oggi si sono persi circa settemila posti di lavoro, mentre sono tremila i giovani che ogni anno abbandonano la Basilicata.
E quelli che rimangono? Perché mai dovrebbero, se, sempre nel 2017, il tasso di disoccupazione giovanile (15-24 anni) è salito dal 34,2% al 38,1%? La Basilicata è la regione meridionale con il tasso di migrazione di giovani laureati più alto, l’83%. I giovani lasciano la loro terra, nonostante la presenza dell’Università sia a Potenza che a Matera. Non va meglio nelle scuole, dove nei prossimi dieci anni potrebbero essere tagliate 1.600/1.800 cattedre a fronte di un calo di iscritti di circa 16.000 studenti degli istituti di ogni ordine e grado.
Per tirare un sospiro di sollievo dopo dati così sconfortanti bisogna però dire che in Basilicata si acuisce una tendenza che è generalizzata a livello nazionale: nel 2050 gli anziani saranno il 35% della popolazione, ma ancora la Svimez segnala che a rischiare è soprattutto il Mezzogiorno, dal momento che in quindici anni (2002-2017) oltre 2 milioni di meridionali hanno lasciato il sud: 132.187 nel solo 2017 (con un saldo negativo di circa 70 mila unità), di questi ultimi 66.557 sono giovani (50,4%, di cui il 33% laureati). In totale, il saldo migratorio interno nel quindicennio analizzato, al netto dei rientri, è negativo per 852mila unità.  

COME UN TERREMOTO SILENZIOSO – A lanciare l’allarme spopolamento non sono soltanto i sindacati e la politica (le cifre non Svimez appena elencate sono fornite da Cisl e Cgil lucane e dal candidato governatore del Movimento Cinque Stelle) ma anche la Chiesa, sentinella del territorio ben radicata tanto più una regione orograficamente complessa come la Basilicata. Commentando la crisi della vocazioni, intervistato da Rocco Pezzano sul nostro giornale l’arcivescovo di Potenza Salvatore Ligorio ha risposto che «la valutazione deve cominciare da qui: abbiamo avuto un decremento di nascite. Secondo punto: i giovani nell’età della scelta emigrano, non tornano e non fanno altri figli. Stiamo entrando in una ruota che sempre  più colpisce l’età giovanile e favorisce quella adulta. In Basilicata le case per anziani sono sempre più richieste».
Ancora più forte e dolente il parallelismo con il dramma del terremoto di 39 anni fa: è chiaro che lo spopolamento del terzo millennio è un fenomeno più silente e dilatato, ma conta ricordare quanto detto a margine delle manifestazioni in ricordo delle vittime del sisma del 23 novembre 1980 Irpinia e Basilicata, dal vescovo di Avellino monsignor Arturo Aiello, il quale ha richiamato l’attenzione «sulla nuova diaspora demografica che spopola i nostri paesi. Il compito – ha detto il presule – è quello di riscoprire comunità e relazioni in luoghi ricostruiti senza memoria dai quali nasce lo sgretolamento di rapporto tra il territorio e le comunità».

LA SPESA PUBBLICA NEI PICCOLI COMUNI – Le comunità, appunto. L’ultimo aggiornamento del report semestrale “Sisprint” redatto da Unioncamere individua proprio nei Comuni minori «il cuore dei processi di declino demografico della regione: fra 2011 e 2018, perdono il 9,4% della popolazione (Calvello è un caso limite perché supera di ben tre punti questo valore medio – ndr), a fronte di una riduzione del 4,6% per i piccoli Comuni di tutta Italia; l’indice di vecchiaia nei piccoli centri abitati lucani è inoltre del 32% più alto della media italiana».
Lo studio dimostra che «l’abbandono genera un aggravamento dei problemi strutturali di equilibrio idrogeologico, e depaupera il potenziale di sviluppo imprenditoriale. Il sistema produttivo dei piccoli Comuni diviene sempre più tradizionale: artigianato, commercio al dettaglio, agricoltura, mentre le potenzialità di sviluppo turistico, complici problemi di accessibilità, di promozione specifica delle aree interne, di carenza di strutture di accoglienza, non sono valorizzate: le presenze turistiche nei piccoli centri lucani sono appena lo 0,6% del totale, a fronte del 4,8% medio dei piccoli Comuni italiani». Ed ecco che anche il topos del “piccolo è bello”, il canone Craco per capirci – spopolato eppure meta di uno strano “turismo dell’abbandono” – viene demolito.
Interessante il passaggio sulla spesa pubblica: «Questi assetti incidono, ovviamente, sulle priorità territoriali di spesa delle risorse pubbliche per lo sviluppo: dai dati Open Coesione emerge che il costo pubblico per progetti di sviluppo del ciclo 2014-2020 ubicati nei piccoli Comuni lucani è di 330,7 euro per abitante, molto al di sopra dei 115 euro per abitante dedicati ai micro Comuni su scala nazionale. Complice anche l’attuazione della strategia per le Aree Interne, la spesa pubblica sui centri minori si concentra sulle principali criticità: fornitura di servizi a rete e di infrastrutture di accesso, fornitura di energia, difesa del territorio, competitività delle imprese».

PIÙ PETROLIO NON SIGNIFICA PIÙ REDDITO… – Nelle cifre del Mef il dato pro capite premia i due capoluoghi di provincia e gli insediamenti produttivi: una ipotetica mappa delle città più ricche e più povere di Basilicata conferma che non solo il petrolio traina i redditi,  ma al contrario l’insediamento produttivo non incide sul tessuto economico senza una rete di servizi infrastrutturali e sociali a fare da paracadute. Se al refrain delle due Italie siamo abituati da tempo – tutti i dossier economici raccontano una nazione spaccata a metà, con il Nord ricco e il Sud che arranca – spulciare tra i dati forniti dal ministero Economia e Finanza in relazione ai redditi Irpef (dato 2017) permette di capire cosa c’è dietro la distribuzione della ricchezza regione per regione, comune per comune. In Basilicata nessuna città rientra nella fascia superiore a 21mila euro di reddito procapite, nella ripartizione che l’istituto Twig suggerisce nella sua analisi. Sono appena tre quelle che superano i 18mila euro: oltre a Potenza (19.958) e Matera (18.438) c’è Lagonegro (18.098).
Poi una fascia intermedia composta da 16 Comuni dove il reddito annuale è tra 15 e 18mila euro; tutti gli altri registrano cifre più basse con punte anche inferiori a 11mila: si va da San Mauro Forte (10.189) a Scanzano Jonico (10.716) passando per Carbone (10.315), Accettura (10.399) e Pietrapertosa (10.431). In generale la Basilicata è terzultima in Italia (peggio fanno solo Molise e Calabria) ma è penultima se si guardano le 15 regioni che hanno visto peggiorare il dato relativo al reddito medio: -183 euro, poco sopra il fanalino di coda Sardegna (-176).
Nella mappa colpisce una “striscia” di Comuni del Potentino – questa la provincia messa meglio – che ricalca i giacimenti petroliferi: da ovest a est ecco perfettamente allineati Tramutola (15.109 euro), Marsicovetere (16.292), Viggiano (15.239) e Corleto Perticara (15.722). Come dire che l’oro nero è un fattore decisivo. Non l’unico, però: nella top ten figurano i centri-satellite del capoluogo di Regione come Pignola, Avigliano (poco dietro ecco Vaglio e Pietragalla in posizione 11 e 12) e ancora importanti centri produttivi come Melfi, quinta città in classifica – polo industriale trainato dalla Fca dei nuovi modelli 2020 e da altri come Barilla –, mentre tra le prime posizioni si collocano il Vulture del vino e del turismo storico di Rionero e Venosa (rispettivamente sesta e diciassettesima), o la Balvano dello stabilimento Ferrero (diciottesima con 15.126 euro di reddito procapite) da poco rinvigorito dall’investimento di 120 milioni per i NutellaBiscuits. Superiore ai 15mila euro nel 2017 anche il reddito degli abitanti di Maratea, Lauria e Castelluccio Inferiore (Superiore si ferma poco sopra i 13mila). Bene anche Pescopagano, che coi suoi 16.165 euro di reddito si conferma isola felice, “Svizzera del Sud” come qualcuno l’ha ribattezzata, forte della sua collocazione tra 4 province (Avellino, Salerno, Foggia e Potenza) e di una storia secolare fatta di ospedali, banche e centrali idroelettriche; anche in questo caso: il petrolio è altro, sono i servizi a fare la fortuna del luogo.  

… E NEMMENO CRESCITA DEMOGRAFICA – Significativo proprio il caso di Melfi, polo industriale lucano extra-petrolio per eccellenza: qui le rilevazioni demografiche segnano, in quasi mezzo secolo, una crescita esponenziale (dati Istat) di abitanti, dai 15.194 del 1971 ai 17.425 del 2011, in una cavalcata che oggi ne segna 17.754 e si avvicina al picco del 1961 (18.208 abitanti censiti).  
Lo stesso non vale per le cittadine del petrolio: restando a quelle appena citate tra le “messe peggio”, Tramutola ha perso quasi 600 abitanti dal 1981 (3.594 contro 3.018), Viggiano oscilla tra alti e bassi sopra i 3mila (3.179 nel 1971 diventati 3.366 nella rilevazione Istat di un anno fa) e Corleto Perticara – comune ricadente nella concessione Val d’Agri e capofila della concessione Gorgoglione Total-Shell-Mitsui – in settant’anni si è dimezzata, passando dai 5.241 abitanti del 1951 ai 2.523 del 30 giugno 2017; Marsicovetere è in controtendenza: cresce esponenzialmente (3.358 abitanti nel 1981, 4.098 nel 1991, 4.703 nel 2001, 5.341 nel 2011 e 5.543 al 2017). Sarà interessante monitorare l’evoluzione-involuzione demografica dal momento in cui Tempa Rossa entrerà in funzione.

DOVE FINISCONO LE ROYALTIES – Dal 2000 al 2017, la Basilicata – una delle regioni più povere d’Europa – ha ricevuto 2,2 miliardi di euro di royalties petrolifere (in joint-venture con Shell, solo Eni ha versato circa 2 miliardi di euro per le sue attività in Basilicata, dal 1998 al 2016; fonte Eni Spa). Dai 25 pozzi attivi in Val d’Agri, cui a breve si aggiungerà proprio Tempa Rossa, allo stato la Basilicata estrae l’80% della produzione petrolifera italiana, circa il 6% del fabbisogno nazionale.
«Altro che “Libia di casa nostra” o “Texas” – ha attaccato Giuseppe Giuzio di Fratelli d’Italia – finora si è solo visto deturpazione dei paesaggi, inquinamento e nessuna certezza su quello che potrebbe essere il futuro della nostra Regione. Dai pozzi di petrolio non sono usciti né occupazione, né sviluppo e questo da solo sono elementi che dovrebbero indurre a fare importati riflessioni».
La diffidenza sulle reali ricadute positive sul territorio sembra però trasversale, se si eccettua la Lega di Salvini che in campagna elettorale per le Regionali passò da Viggiano e indossò caschetto e felpa Eni: di «vantaggi economici» irrisori per la comunità» ha parlato di recente Gianluca Rospi, parlamentare del Movimento 5 Stelle. «Le royalties pagate dai petrolieri sono le più basse d’Europa: 800 milioni di euro le royalty attese in Italia nel triennio 2018-2020 a fronte di utili da attività estrattiva superiori a 7 miliardi l’anno, mentre i territori interessati dai pozzi si spopolano e si impoveriscono, come testimonia il caso della Basilicata, dove si estrae l’80% del petrolio nazionale: il “Texas italiano” è infatti la regione con il Pil più basso d’Italia (-6,1%), con le royalties petrolifere più basse del mondo e soli 143 residenti impiegati nel settore estrattivo a fronte di poco più di 550mila abitanti. Qui l’oro nero entra in competizione con il cosiddetto “oro bianco”: le trivellazioni mettono infatti a rischio le riserve idriche strategiche per il territorio».

LA NUOVA POVERTÀ E IL MITO DEL BINOMIO ANZIANITÀ-OPULENZA – Il recente caso dell’81enne scoperto a rubare generi alimentari del valore di pochi euro (e “graziato” dai carabinieri di Lagonegro che hanno pagato il conto per lui) smentisce un altro luogo comune: quello di un tessuto demografico invecchiato ma opulento. Il proverbiale “welfare dei nonni” evidentemente è da rivedere, anche nella regione dove una famiglia su quattro vive al di sotto della soglia di povertà.
Se la recente fotografia sui dati Caritas ci consegna un’Italia dove circa 4 pensionati su 10 percepivano nel 2018 meno di mille euro al mese (i nuovi pensionati hanno redditi medi sensibilmente inferiori) in questo generalizzato declino vengono coinvolti i pensionati lucani. Cifre che stridono e fanno doppiamente male se si pensa ancora una volta che siamo in una regione ricca di risorse quali acqua e, appunto, petrolio; una “Basilicata (ancora?) felix” dove turismo, agricoltura, piccole e medie imprese ma anche i grandi gruppi già citati potrebbero fare da traino. Invece la povertà aumenta e si concentra soprattutto al Sud, con una forte incidenza in Basilicata: gli ultimi dati descrivono una situazione drammatica dove un lucano su 4 è povero, ma il dato più sconcertante è che il 41% dei lucani è a rischio povertà.  
Aumenta il numero di uomini che richiede assistenza con un’età compresa tra i 45 e i 64 anni (dati dal report 2019 dalla povertà letta dai centri di ascolto Caritas), mentre raddoppia in due anni la percentuale di giovani tra i 25 e i 34 anni seguiti stabilmente dai centri di ascolto. Anonime  microstorie di declino, come quella del nonno ladro per necessità, nel Texas divenuto Venezuela.

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