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L’agronomo Antonio Calvello sulla crisi del cerealicolo: «Governo e Regioni non tutelano il settore». E i piccoli e medi produttori lucani preferiscono non raccogliere per i costi

di DOMENICO DONVITO

IRSINA – Ha destato molto scalpore, l’allarme di Confagricoltura sul forte calo del prezzo del grano, quasi il 50% in meno, rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso, che ha costretto alcuni imprenditori a non raccogliere la produzione, lasciando addirittura le spighe sul proprio terreno.
Non è difficile analizzare i mali che, purtroppo, colpiscono questo settore, da sempre conosciuti e di difficile soluzione, soprattutto nell’area della Basilicata maggiormente vocata a queste produzioni, ovvero Matera ed il suo hinterland, ma soprattutto la zona dell’Irsinese e della Puglia garganica.

GLI ALLARMI DI CONFAGRICOLTURA E COLDIRETTI

Ascoltando la viva voce di acluni impenditori e commercianti di questa zona, è emerso che uno dei motivi principali che frena la quotazione del grano arriva soprattutto dalla congestione dei mercati, che proprio in questo momento si vedono saturare il proprio fabbisogno con l’arrivo di milioni di tonnellate di grano duro estero, soprattutto americani. Il problema non riguarda soltanto la competizione tra mercati per i piccoli agricoltori, bisogna mettere in conto anche in alcuni casi la scarsa produzione del raccolto, in quanto dovendosi confrontare con una quotazione troppo bassa, non riescono spesso a coprire le spese sostenute durante tutta la fase di preparazione del raccolto.
In questi periodi, lo scorso anno nell’area pugliese-lucana, il prezioso cereale veniva quotato all’agricoltaore intorno 38 euro al quintale, mentre quest’anno soltanto 17-18 euro, se si tiene conto che i costi sopportati per la lavorazione e la produzione del nobile cereale non si sono ridotti, anzi in alcuni casi sono aumentati, il produttore preferisce lasciare il proprio raccolto agli uccelli.
In Italia non c’è una valida politica a sostegno del mondo cerealicolo, ma anche dell’agricoltura in genere. Gli intervistati, tra le tante possibili cause del problema, puntano il dito anche sulla minaccia da Turchia, Tunisia ed i Paesi del Medio Oriente, che proprio sulla produzione cerealicola hanno fatto passi da gigante, sia per quanto riguarda lo stoccaggio delle merci, sia per la trasformazione; in pratica, nel settore cerealicolo si sta verificando ciò che, negli anni scorsi, è accaduto in quelli del salotto, della mattonella e altre attività di semplice produzione, scippate dai mercati asiatici e orientali. L’agronomo Antonio Calvello, esperto del settore, ha confermato la tesi espressa dei tanti imprenditori: «Non abbiamo una vera politica sul grano duro, non basta la riduzione dei occasionale del petrolio per incidere positivamente alla riduzione dei costi. In questo settore agricolo e cerealicolo, i costi di manutenzione e gestione delle attrezzature per lavorazione dei terreni e per la trasformazione dei prodotti, sono aumentati oppure rimangono costanti; purtoppo la quotazione del prodotto, quest’anno mette in ginocchio soprattutto i piccoli imprenditori, che mettendo insieme pochi numeri non riescono a sopravvivere.
Ci auguriamo –conclude Antonio Calvello- che la Regione Basilicata sproni il ministero dell’Agricoltura a un impegno maggiore in favore di una politica sui prodotti cerealicoli e dell’agricoltura in genere; al momento questo è un settore lasciato un po’ a sè stesso».

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