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POTENZA – Lo hanno trovato impiccato nella sua cella all’interno della sezione pentiti del carcere di Ariano Irpino. Proprio mentre la sua scelta di collaborare con la procura Antimafia veniva notificata agli altri indagati per i traffici di droga dei fratelli Filippo e Giacomo Solimando, e il riciclaggio dei loro proventi nell’azienda agricola De Pascalis di Scanzano Jonico.


E’ giallo sulla morte del 53enne Benito Arone, originario di Montalto Uffugo (Cosenza) ma da anni residente con la moglie e il figlio nelle campagne tra Tursi e Policoro.
I fatti risalgono a venerdì scorso quando un agente della polizia penitenziaria ha trovato il corpo durante un giro di controllo.
Immediati i tentativi di rianimazione, anche con l’intervento di alcuni operatori del 118. Ma dopo qualche minuto i sanitari non hanno potuto far altro che attestare l’avvenuto decesso.


Per provare far luce sull’accaduto la procura della Repubblica di Benevento ha già aperto un fascicolo d’indagine disponendo l’autopsia sui resti, trasportati per le operazioni all’ospedale Moscati di Avellino. Solo una volta effettuati tutti gli esami considerati opportuni, quindi, la salma verrà restituita ai familiari per le esequie.
Da fugare, infatti, ci sono i sospetti di un omicidio camuffato da gesto autolesionista. Un delitto di possibile matrice mafiosa data la recente decisione del 53enne di avviare una collaborazione con i pm della Direzione distrettuale antimafia di Potenza, guidati dal procuratore Francesco Curcio.

Una prima collaborazione “di peso” da parte di un esponente della mala del metapontino dopo anni di silenzi e omertà, rotti soltanto dal “soldato” Mateusz Jakub Wilk. Lo stesso Wilk che aveva indicato in Arone chi gli avrebbe fornito la cocaina tra il 2018 e il 2019. Vale a dire in seguito l’arresto dell’ex carabiniere Gerardo Schettino e del suo alter ego Domenico Porcelli, considerati i due capi del presunto clan mafioso degli scanzanesi.
Il 24enne di origini polacche ma da anni residente a Scanzano Jonico, aveva descritto anche il codice impiegato per comunicare le sue richieste senza usare i telefoni, che prevedeva di lasciare un fazzoletto rosso ben visibile nei parcheggi «l’hotel Callà» e poi di presentarsi in un punto stabilito («alle colonne») per lo scambio droga-denaro.


Da questo, più una serie di riscontri di altro tipo, gli investigatori della compagnia carabinieri di Policoro, coordinati dal pm Annagloria Piccininni, erano giunti alla conclusione che Arone fosse alla guida assieme a Giacomo Solimando di un’organizzazione criminale in grado di rifornire piazze di spaccio a Scanzano Jonico, Bernalda e Colobraro, con propaggini a anche Tursi, Nova Siri, Valsinni, Rotondella e Terranova del Pollino.

Ma nel 2015 sarebbe arrivata la promozione sul campo a comandante in capo, a causa dell’arresto dei fratelli Solimando nell’ambito di una maxi-inchiesta dell’Antimafia di Catanzaro, per cui restano tuttora detenuti, sui traffici milionari di cocaina e marijuana del superclan degli zingari di Corigliano Calabro. Una delle più potenti famiglie della ‘ndrangheta calabrese, a cui avrebbero fatto riferimento gli stessi scanzanesi Schettino-Porcelli, “scalata” da Filippo Solimando, crimine dopo crimine, negli anni precedenti. Spesso alla destra del boss Francesco “dentuzzo” Abruzzese.
Da quel momento in poi, sempre secondo gli inquirenti, Arone avrebbe preso in mano anche il rapporto con i De Pascalis, titolari dell’omonima azienda agricola in cui secondo l’Antimafia sarebbero stati riciclati almeno 4 milioni di euro dei Solimando. Almeno fino a maggio di quest’anno, quando sono scattate le misure cautelari anche per lui, i Solimando, e gli insospettabili imprenditori agricoli. Inclusa l’ex consigliera comunale Rosanna De Pascalis, eletta nel 2016 in una lista civica di centrosinistra all’interno dell’assemblea del Comune di Scanzano, che a dicembre del 2019 è stato sciolto per infiltrazioni mafiose.


Il sistema, sempre secondo gli inquirenti dell’Antimafia lucana, prevedeva il pagamento “in nero” degli operai impiegati sui campi e di quantitativi importanti di frutta, perlopiù preziose fragole del metapontino, da alcuni produttori locali. Frutta che poi veniva etichettata e rivenduta “in bianco” come produzione propria, generando utili impiegati per un’imponente espansione aziendale. Con l’acquisto di terreni e immobili
Ma sono anche altre le vicende di cui potrebbe essere rimasta traccia nei verbali con gli interrogatori resi da Arone, ribattezzato “Pollicino” dagli investigatori per l’abitudine di seminare droga ovunque, da un mese a questa parte. A tanto, infatti, risalirebbe il suo trasferimento dal carcere di Vibo Valentia alla sezione speciale per collaboratori dell’istituto di Ariano Irpino.


Ci sono gli attentati che avrebbe messo a segno ai danni del suo precedente datore di lavoro, e di altri due imprenditori agricoli della zona per favorire le mire egemoniche dei De Pascalis. O ancora le strane circostanze della visita all’azienda-lavatrice del clan dell’allora ministro dell’Interno, il leader della Lega Matteo Salvini, che a marzo del 2019, volle testimoniare fisicamente la sua vicinanza agli imprenditori, vittime a loro volta di uno strano incendio il mese prima. Motivo per cui prese parte a un grande evento elettorale organizzato nel capannone dei De Pascalis da un giovane ex consigliere comunale del posto, Pasquale Cariello, eletto due settimane dopo con la Lega in Consiglio regionale, e sfiorato a sua volta dai sospetti di contiguità criminali, per i presunti rapporti col clan Schettino-Porcelli.
Nell’avviso di chiusura delle indagini spiccato mercoledì scorso dal pm Annagloria Piccininni, e notificato a partire dalle ore successive alle 42 persone coinvolte nell’inchiesta dell’Antimafia lucana, in realtà, si legge anche di un altro indagato che risulta «domiciliato presso il Servizio centrale di protezione», che è la dizione impiegata per i collaboratori di giustizia portati in località segrete per proteggerli dal rischio di ritorsioni.
Si tratta del 41enne policorese Antonio Bevilacqua, finito a sua volta in carcere a maggio con l’accusa di aver fatto parte dell’organizzazione di spacciatori guidata da Arone.
Per il 53enne tursitano, inoltre, si legge ancora un primo capo d’imputazione che parla di associazione di stampo mafioso assieme ai De Pascalis, Giacomo Solimando e altri. Associazione che sarebbe stata attiva nella zona di Policoro e specializzata nelle estorsioni e nel traffico di droga e armi, e che avrebbe puntato ad acquisire «la gestione e comunque il controllo di attività economiche in particolare nel settore dell’agricoltura e del commercio di ortofrutta». Sia in modo diretto che indiretto, «attraverso fittizie intestazioni».
Contattato dal Quotidiano l’avvocato di Arone, Mariantonietta Carnevale, non ha voluto rilasciare dichiarazioni.

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