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MATERA – Sono tanti, volontari e animati da buoni propositi, ma una volta in campo vengono sostanzialmente abbandonati a sè stessi, mentre la piaga dei cinghiali in Basilicata cresce in modo esponenziale, mettendo a rischio colture di pregio e sicurezza dei trasporti.


Sono i cosiddetti selecontrollori, una platea di cacciatori, che volontariamente si mettono a disposizione per abbattere i cinghiali in una determinata area, indicata in base a segnalazioni e denunce degli agricoltori.

Tutto il sistema, coordinato dagli Ambiti territoriali di caccia e orientato dalla Regione Basilicata, funziona fino a un certo punto, quando si materializza il paradosso peggiore: le immani difficoltà nel conferire il capo abbattuto, che resta al selecontrollore, con tutte le conseguenze pratiche del caso. Un problema serio, che sta scoraggiando tanti operatori, con buona pace dei cinghiali, che continuano a moltiplicarsi. Il Quotidiano ha raccolto la testimonianza di uno di loro, il cacciatore grassanese Luigi Daraia.

«Siamo di fronte a una selvaggina massicciamente presente sul territorio e molto pericolosa -ci spiega Daraia- perché i cinghiali di oggi non sono quelli stanziali lucani di tanti anni fa, ma una razza ormai meticcia, che si è mescolata con quella rumena e balcanica. Il risultato è una elevata mobilità sul territorio, ma soprattutto una grande capacità riproduttiva. Si pensi solo che una femmina è capace di figliare fino a 3-4 volte l’anno, con un numero di cuccioli che oscilla tra 7 e dieci. Quindi ogni femmina può generare fino a 40 cuccioli l’anno. Molti di essi, poi, sono femmine, che a loro volta si riprodurranno».

Una vera piaga, che con il sistema del sele controllo si potrebbe limitare, se funzionasse. Come si accede al percorso di sele controllore? «È un volontariato -ci spiega Daraia- che inizia con un corso, tenuto da un esperto. Dura due giorni, ma per me è molto utile, perché ci viene spiegato come è fatto un cinghiale ed anche come colpirlo per abbatterlo rapidamente, con persino nozioni di balistica. Il corso costa a noi 25 euro, ma lo facciamo volentieri pur di renderci utili, tenendo presente che già il porto d’armi ci costa 400 euro l’anno, a cui ogni due anni se ne aggiungono 200 di rinnovo.

Una volta abilitati al selecontrollo, quando siamo disponibili facciamo richiesta e l’Ambito territoriale di caccia ci assegna una zona di circa un chilometro quadrato da battere; nella maggior parte dei casi si tratta di zone dove gli agricoltori denunciano di aver subìto danni. Comunichiamo tutto alla Polizia provinciale ed ai carabinieri forestali, quindi con le coordinate Gps inizia la caccia. Abbattuto il cinghiale, dobbiamo fare richiesta di smaltimento di viscere e cotenna, che dobbiamo seppellire noi in un fosso, profondo almeno un metro ben indicato.

Poi inviamo il diaframma dell’animale all’Associazione allevatori di Potenza, mediante i Punti di raccolta, per capire se sia sano e macellabile; nel frattempo, la custodia della carcassa e a nostro carico. Passa una settimana circa e ci arriva il risultato: se l’animale è sano è di nostra proprietà, se non lo fosse andrebbe smaltito, sempre a carico nostro.

Qui, però, iniziano i problemi, perché al netto della carne che volessimo tenere per noi, l’animale va conferito al mattatoio di Tito, che (primo paradosso ndr) non lavora in estate, proprio quando si concentrano le nostre battute, perché allora i cinghiali fanno più danni alle colture. Il mattatoio, poi, è molto reticente a ritirare carcasse singole, soprattutto se provenienti da lontano. Quindi, spesso ci chiedono di conferire un minimo di 15 capi, che dovremmo abbattere nell’arco di due giorni; una cosa praticamente impossibile, anche perché non abbiamo mezzi idonei a trasportare un tale numero di animali, che a volte pesano fino a 2 quintali. A volte è anche capitato che il mattatoio non ha accettato il capo, perché la carne si era deteriorata nel trasporto.
Quindi spesso i capi rimangono a noi, che riempiamo i nostri congelatori al massimo, e poi dobbiamo fermarci. Con il mio gruppo abbiamo anche investito 1.500 euro comprando un congelatore grande, collocato in un podere di campagna preso in fitto anche per la macellazione».

Tutti sforzi inutili, perché l’intero sistema si ferma all’imbuto del conferimento. «Nè possiamo portarli ai macellai di paese, perché possono prendere solo capi provenienti da mattatoi certificati. Allora -propone Daraia- secondo me, gli Atc dovrebbero attrezzarsi per allestire Punti di raccolta zonali, anche se dal mio Atc di Matera, mi riferiscono che il mattatoio di Tito è l’unico a poter assorbire questi capi, perché ha vinto l’appalto regionale e ce li paga, quando li prende, 80 centesimi di euro al chilo».

Il sistema, insomma, non funziona. Daraia conclude con un consiglio agli agricoltori: «Investite in un recinto elettrico, è l’unica cosa che vi può difendere dai cinghiali, che saranno sempre di più». Resterebbe, però, tutto il problema della sicurezza stradale, che non è da poco.

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