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Braccianti agricoli

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METAPONTO – È una drammatica realtà, quella dei braccianti agricoli africani, che continuano ad accamparsi all’addiaccio nelle campagne e nei pressi del lido di Metaponto.
Si riuniscono a decine, allestendo dei veri e propri ghetti, dove dormono e vivono in totale assenza delle minime condizioni igienico-sanitarie. Così succede che il sindaco prima ed il commissario prefettizio oggi, sono costretti a reiterare le loro ordinanze di sgombero, per evitare tragedie come quella dell’ex ghetto a La Felandina.

L’ultima in ordine di tempo, è quella emanata dal commissario prefettizio Mariarita Iaculli, che ha disposto lo sgombero di una palazzina di proprietà privata tra il borgo ed il lido di Metaponto, dove vivono accampati almeno 20 braccianti agricoli, quasi tutti africani e con regolare permesso di soggiorno per motivi di lavoro; ma c’è da scommettere che, con l’avvio della stagione della raccolta delle nettarine, diventeranno molti di più. Ecco perché Iaculli ha ribadito che lo sgombero deve essere eseguito anche in tempi rapidi.

«È una situazione intollerabile -ci ha detto Iaculli- anche perché queste persone percepiscono un reddito da lavoro, dunque potrebbero prendere appartamenti in affitto e le associazioni umanitarie che si preoccupano di aiutarli, potrebbero fare da garanti per consentire loro di poter vivere e lavorare in modo dignitoso. Tra l’altro -conclude Iaculli- senza una residenza o un domicilio, non si può neppure ottenere il rinnovo del permesso di soggiorno».

La questione è ormai nota, perché legata all’inerzia della Regione rispetto alla partenza dei Centri di accoglienza, peraltro già finanziati, come la Città della pace a Scanzano Jonico.
«È illusorio pensare di affrontare il tema dell’accoglienza dei lavoratori migranti solo a colpi di ordinanze di sgombero e politiche di ordine pubblico. -commenta il segretario generale della Fai Cisl Basilicata, Vincenzo Cavallo-Siamo alle solite: nel territorio non esistono soluzioni abitative per questi lavoratori che vagano da una struttura di fortuna ad un’altra alla ricerca di un tetto.

Dopo la tragedia de La Felandina e il conseguente sgombero del campo -continua Cavallo- erano state prospettate una serie di soluzioni che avrebbero dato una prima risposta, anche se molto parziale, al fabbisogno abitativo di questi lavoratori, si stima circa 300, ma al momento è tutto fermo».

Per il segretario della Fai Cisl, «non è umanamente accettabile che non riuscire a dare una sistemazione dignitosa a questi lavoratori, che operano in modo stanziale e non stagionale nelle campagne del metapontino». Cavallo sollecita, pertanto, la convocazione di un incontro urgente in prefettura, «per vagliare soluzioni alternative alla logica delle ordinanze e per mettere in campo una politica strutturale per l’accoglienza che assicuri condizioni umane a lavoratori che contribuiscono in modo determinante al comparto agricolo del territorio. Continuare a tenere questi lavoratori ai margini delle nostre comunità -conclude Cavallo- significa consegnarli nelle mani dei caporali e di sfruttatori senza scrupoli che ancora infestano il settore».

Sulla questione è intervenuta anche Katya Madio del comitato “TerreJoniche”: «Dal 2019, da quando cioè il sindaco ha sgomberato l’ex La Felandina, i ragazzi hanno creato ghetti altrove e la possibilità che questo fenomeno si ripeta è ancora, ahimè reale: dall’ennesimo sgombero che si profila nascerà inevitabilmente un altro ghetto se le alternative non si trovano! Lo sgombero è e sarà il fallimento delle Istituzioni. -rimarca Madio- Chi pratica lo sgombero non conosce la storia del lavoro e delle campagne di raccolta, incluse le migrazioni che le generano in modo costante e, ripetuto nel tempo.

I migranti, infatti, si spostano lì dove c’è lavoro, e il Metapontino di qui a poco si riempirà di migranti perché in estate le nostre campagne offrono l’impiego necessario per molti di loro. I migranti che incontriamo a Metaponto sono gli stessi di San Severo (Foggia) o di Palazzo San Gervasio (Potenza) o ancora di Mazzara. Nulla di quello che succede in agricoltura non può essere programmato, dunque perché noi possiamo conoscerne i numeri, fin anche dell’acqua necessaria per irrigare i campi.

Le risposte possono essere date senza necessariamente passare per le ruspe. Casa Betania a Serramarina, ne è la dimostrazione; rappresenta il precedente che cerchiamo. Un luogo messo in piedi grazie alla sinergia tra associazioni religiose come la Diocesi di Matera-Irsina o la Caritas e laiche come il Forum Terre di Dignità e Rete perlaTerra, nonchè imprese agricole quali la Primo Sole che hanno sviluppato un progetto in cui alcuni braccianti dell’ex Felandina hanno avuto una casa dignitosa, un contratto di lavoro stabile e pagato il giusto. È una goccia in un grande mare certo ma si può fare, quindi se si vuole».

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