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Domenico Tataranno

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BERNALDA – Il suo passaggio nella Lega è stato vissuto come una sorta di marchio d’infamia, dai suoi alleati civici di centrosinistra e Pd. Una scelta personale del sindaco Domenico Tararanno, che peraltro aveva fatto guadagnare ai salviniani lucani il grosso comune di Bernalda, è stata definita intollerabile al punto tale, da voler staccare la spina a tre anni dalla naturale scadenza dell’Amministrazione. Un gruppo di giovani anche abbastanza affiatato, con un sindaco attivo e competente, a cui non si è perdonato quello che si ritiene un “peccato politico”.

Ieri mattina le dimissioni in massa di nove consiglieri, hanno decretato la fine dell’amministrazione, dando la stura a un pesantissimo scambio di accuse con il sindaco. I dimissionari sono: Eliana Acito, Enza Bonelli, Domenico Calabrese, Donato Dimonte, Nicola Grieco, Barbara Lombardi, Francesco Lovecchio, Antonella Montanaro e Saverio Sarubbo. Ieri stesso, il prefetto Rinaldo Argentieri, ha nominato commissaria la sua vice Maria Rita Iaculli; a lei il compito di traghettare il Comune alle prossime elezioni, che si terranno verosimilmente fra un anno, nella prossima primavera. Un duro colpo per la comunità bernaldese, la cui responsabilità, secondo Tataranno, è totalmente addossabile ai dimissionari, «che hanno rifiutato gli incarichi nell’esecutivo -ha detto in video su Facebook- come ogni forma di confronto, compreso l’ultimo in Consiglio, preferendo dimettersi prima.

Un omicidio politico -ha detto l’ex sindaco senza mezzi termini- compiuto con un atto vile». Secondo Tataranno, il suo passaggio nella Lega sarebbe stato solo un pretesto, perché: «C’era già un progetto politico mirato a logorare la mia immagine. -insiste Tataranno- Loro hanno staccato la spina a questa amministrazione, manifestando peraltro una sorta di timore reverenziale per la Giunta che avevo varato, evidentemente temendo che avrebbero fatto meglio di loro. Poi loro, infondo cosa hanno fatto? -si chiede provocatoriamente- Oggi lanciano la comunità di Bernalda nel vuoto, in piena pandemia e con un piano vaccinale tra i migliori della regione, non certo grazie a loro. Viva Bernalda e viva Metaponto!».

I dissidenti civici, tra cui tre ex assessori, replicano parlando di «Democrazia tenuta in ostaggio. -si legge in una nota- Il nostro primo cittadino, evidentemente, è all’oscuro o finge di ignorare le più semplici regole del rispetto del mandato elettorale e del funzionamento delle istituzioni. Pertanto, parafrasando il sindaco, “mantenendo la discussione nei limiti della correttezza e del rispetto delle reciproche convinzioni, evitando offese personali”, nient’affatto rientranti nelle nostre argomentazioni, siamo costretti a muovere il passo più doloroso, ma ormai resosi inevitabile. Il sindaco, utilizzando impropriamente la pagina Facebook del Comune di Bernalda, senza possibilità di contraddittorio, illustra le sue scelte politiche, mascherandole con la giustificazione dello “stallo amministrativo, a cui deve dare una svolta, nominando una nuova giunta”, il tutto ancora una volta in assenza di atti formali, pubblicati solo ventiquattr’ore dopo.

Insistendo sulla scelta personale, precisa che tale scelta non ha avuto nessun tipo di contraccolpo sull’amministrazione comunale (sic!), sminuendo di fatto l’entità della crisi in atto, da cui è scaturita la formazione di nuovi gruppi consiliari, ed ascrivendo le posizioni legittimamente assunte dai consiglieri ad un “atteggiamento ricattatorio” e di “intransigenza ideologica”, che, in verità, ci pare riscontrare nelle sue parole e nelle sue azioni. Esclude dal tavolo delle trattative le sue dimissioni perché, a suo dire, rappresenterebbero un tradimento del patto che ha stretto con i cittadini, patto che, a ben vedere, il sindaco ha già tradito nel momento in cui, eletto come civico, ha aderito per pura ambizione personale ad un partito, dimenticando che era stata l’intera squadra propostasi all’elettorato a stringere quel patto. Come può dunque il progetto rimanere identico, non modificarsi quando vengono a mancare i presupposti democratici e i principi fondanti da cui è nato?

Il sindaco esprime ringraziamento e riconoscenza alla nuova giunta, che ha “accettato con entusiasmo la chiamata del sindaco” e si appella impropriamente ai principi della Costituzione, ma di fatto la calpesta e contravviene alle regole basilari della democrazia, fingendo di ignorare che la nuova giunta non è suffragata dalla maggioranza e quindi dal popolo. I cittadini hanno votato per eleggere consiglieri, non burattini, la cui indisponibilità ad accettare le deleghe assessorili non è certo dettata da irresponsabilità, come il sindaco, esattamente in linea con quanto espresso dagli esponenti locali del suo partito, vuole far credere. Piuttosto, il nostro gruppo ha tentato fino all’ultimo di farlo ritornare sui suoi passi, non certo per un’arida e semplicistica questione di ideologie, ma per rispetto di quel patto elettorale che ritiene erroneamente di aver suggellato da solo.

Del resto non si può pensare che la scelta individuale del sindaco non avrebbe avuto ripercussioni sull’intera squadra amministrativa, essendo la squadra simile ad un composto chimico la cui natura si modifica irrimediabilmente se cambiano gli elementi che lo caratterizzavano all’origine. Piuttosto racconta a se stesso che nulla sarebbe cambiato, pur di non mettere da parte il suo orgoglio personale che antepone alla tenuta dell’amministrazione e quindi al bene della comunità».

Quindi l’affondo: «Il sindaco ha gestito la crisi politica utilizzando metodi autoritari, tant’è che ad oggi la questione “tessera” è quasi secondaria, essendo divenuta primaria l’urgenza del ripristino di una democrazia calpestata e quindi della dignità di un intero elettorato, prima che dei consiglieri che lo rappresentano. Agendo da plenipotenziario, il sindaco, ignora le istanze della maggioranza insieme alla quale era stato scelto dalla cittadinanza ed adotta dispoticamente scelte unilaterali, tentando di addebitare ai consiglieri comunali che hanno mostrato il loro dissenso la responsabilità delle conseguenze di una crisi che lui e solo lui ha provocato e mal gestito».

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