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L’architetto materano Tonio Acito

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8 minuti per la lettura

Come cambia il futuro della vita e delle città ad ogni latitudine. Come cambia il futuro di Matera che esce dal suo anno da Capitale europea della cultura e come cambia il ruolo e il futuro degli architetti che hanno progettato le città e indirizzato il cambiamento. Sono interrogativi attuali al tempo del coronavirus in cui il cambiamento e l’evoluzione sono elementi sempre più concreti. Approfondire questi temi con una visione che parte da Matera e dalla Basilicata e si estende al Sud e all’Italia intera che prova a risalire la china è una necessità. E rispondono a questo dibattito avviato a livello nazionale le parole dell’architetto materano Tonio Acito che prova a delineare un indirizzo di sviluppo degli architetti, delle città e del futuro oltre il coronavirus.

di TONIO ACITO
Di tempo per pensare ce ne è stato tanto e tanto ce ne sarà.
Siamo chiusi nei nostri privati, riscoprendo tempi, cose e situazioni che ci circondano ma di cui quasi non ce ne rendevamo conto. Impegnati come eravamo nel veloce quotidiano avevamo poco tempo per pensare.

Leggiamo di opinioni e pareri di tutte le categorie di esperti: virologi, epidemiologi, economisti, politici, architetti. Si, architetti! Negli ultimi giorni alcuni noti architetti italiani stanno riempiendo una rubrica settimanale che si chiama “Visioni sul futuro”.
Stimolato da queste riflessioni mi sono chiesto “E noi architetti di Matera che futuro vediamo?”

Matera ha toccato il cielo nel 2019. È stata una scalata lunga decenni alla quale hanno contribuito generazioni di appassionati, studiosi di varie discipline, uomini e donne di ogni ceto sociale, religiosi ed artisti. Abbiamo avuto, nell’anno della Capitale Europea della Cultura, la possibilità di presentarci al mondo e il mondo ha iniziato a venire a trovarci, qui a casa nostra. La città è stata “culturalmente” in festa, ha accolto, ha ospitato, ha visto crescere una nuova economia; il turismo ha generato nuove imprese, ha fatto diventare imprenditori del settore albergatori, piccoli proprietari di case, ristoratori, baristi che, di conseguenza, hanno avuto bisogno di architetti per disegnare arredamenti, sistemazioni e adattamenti.

La città ha dovuto mettere il focus su strade, spazi pubblici, ville e giardini e sono state poste all’attenzione aree del territorio spesso sottoutilizzate come le cave e le ex aree industriali; la città si è resa conto della sua piena potenzialità e ha chiesto (ed ottenuto) risorse dagli organi istituzionali: abbiamo raccolto fondi (o almeno sono stati promessi) pubblici per questa comunità che diventava l’emblema del riscatto di un Sud vivo. Ma tutti oggi dicono “Nulla sarà come prima”: vorrà dire che torneremo tutti ad un nuovo nastro di partenza?

Credo che sarà necessario un grande bagno di umiltà nei confronti dell’ambiente, delle relazioni tra le persone, dei valori tangibili ed intangibili.
Noi architetti dovremo metterci a disposizione per ricostruire, correggere, migliorare. Dobbiamo avere il coraggio di dire che tante cose, anche per nostra responsabilità, sono risultate di mediocre qualità. Ogni progetto merita tempo, attenzione, passione, coscienza di ruolo: lo meritano i nostri committenti, pubblici o privati che siano, lo meritano tutti quelli che vedranno le case dai noi progettate e vivranno nelle scene urbane da noi disegnate. Per riprendere il ruolo nella futura società dobbiamo essere seri e responsabili, coscienziosi e non presuntosi, disponibili ma non sottomessi.

Matera ha bisogno anche di noi per cercare un ruolo nel nuovo mondo che verrà; abbiamo compreso che dobbiamo differenziare le fonti di sostentamento economico, sfruttando al meglio ciò che fino a ieri era negatività ed esclusione; mi riferisco al valore che davamo alla qualità della vita del piccolo centro, dell’ambiente incontaminato raggiungibile con una certa difficoltà, all’isolamento fisico.

Il mito della città lucente, acciaio e vetro, è in crisi laddove luci e colori si sono dimostrati deboli e cattivi: in questi contesti è morta la cultura orale e i suoi uomini anziani che l’avevano costruita.

La città opaca di tufo e mattoni è stata silenziosa e rispettosa di leggi e regolamenti e ora, in tanti, la riscoprono come probabile rifugio del domani. L’arch. Boeri, simbolo della città verticale, ora vede nei piccoli centri abbandonati una possibile via, laddove, farei notare, i boschi sono orizzontali; l’arch. Fuksas si è ritirato in campagna e propone le lampade ultraviolette nelle case come igienizzatori ambientali.

Città medie o piccole, relazioni sociali forti, bellezza e cultura, storia e tradizioni: valori che sono condizione necessaria ma non sufficiente se non inserita in una visione globale di ruolo che bisognerà perseguire.

Giuseppe De Rita, tra i fondati del CENSIS, ha più volte ricordato che la ricostruzione dopo la guerra ha comportato povertà, lavoro, costanza e studio: noi dobbiamo tornare a “zappare” nelle nostre menti per coltivare sogni e futuro.

E nel futuro si colloca il ragionamento di Jeremy Rifkin che, facendo il necrologio del modello di globalizzazione fin qui vissuto, immagina un “Green New Deal Globale” per salvare la terra proponendo interventi che spaziano tra ambiente, energia verde e tecnologia democratica; la Presidente UE Ursula Von del Leyen lo ha incaricato di redigere un progetto propedeutico per il grande piano verde europeo ponendo al centro l’istituzione di bioregioni “(…) con particolare vocazione industriale, agricola e culturale (…)”. La commissione è alla ricerca di territori con queste vocazioni; orbene, perché non candidare il nostro caldo Sud come una macroregione di questo scenario? Utopico, irreale? Forse si, come lo era diventare Capitale Europea della Cultura.

Provo ad essere, però, più concreto: i medici osservano il giuramento di Ippocrate. Noi architetti facciamolo di Vitruvio: metodo, regole, studio, etica, ricerca dell’equilibrio e della bellezza.

Una volta ripreso il ruolo, chiediamo con la forza della responsabilità, che i progetti che coinvolgono i nostri territori ci vedano protagonisti, incaricati non per il “massimo ribasso” bensì per qualità, responsabilità, appartenenza. Responsabilizziamo i committenti a realizzare opere con buona qualità architettonica, convinciamoli alla bellezza, impegniamoci con disegni e con proposte per fare più belli e sani i nuovi palazzi, i nuovi quartieri con la convinzione che una migliore qualità generale porta ricchezza.
Gli architetti più anziani e quelli con più esperienza si mettano nel ruolo di tutor per le nuove generazioni, imparino che trasferire sapere, per quanto difficile, è prestigio, è riconoscimento.

La parola che più mi accompagna è riconoscenza. Spero tanto che il futuro parta dal senso profondo di questa parola che non abbiamo più tanto usato. Riconoscere il lavoro altrui, il sacrificio, la capacità, la necessità, la forza, la dedizione.

Oggi ci siamo accorti degli infermieri e dei medici, dei rider e dei lavoratori nei campi, dei preti e dei volontari. Ma queste persone ci sono sempre state, sono state sempre intorno a noi, sono stati sempre indispensabili nostri custodi e aiuti.

A loro finalmente solo oggi siamo riconoscenti.
E allora mentre do calore e luce a questa parola ne estendo la platea con la speranza di trovare aiuti per la nostra ripartenza.

Matera dovrà essere riconoscente ai volontari del 2019, che hanno ospitato gli abitanti temporanei con sorrisi e cortese energia; a chi ha lavorato, ha sognato, ha scritto, ha gestito un progetto enorme per impegno e investimenti in cultura; a tutti gli artisti che ci hanno lasciato un po’ di loro; ai cittadini residenti che hanno accolto supportati e sopportato un inaspettato flusso di ospiti mai visto prima; a chi ha scritto e parlato sui giornali e dalle TV; a chi ha investito i propri risparmi per attivare nuove attività ricettive creando lavoro e ricchezza; a chi ha amministrato la cosa pubblica con fermezza ed onestà.

Sicuramente il mio elenco non è completo, dimentico qualcuno e non ne abbia a male!

Ad ogni riconoscimento mentre scrivo associo un nome, un volto.
Ma quanto saprà la città di Matera essere riconoscente? Saprà amare chi la ha amata? Chi ha speso quasi 10 anni di energie, lavoro, entusiasmo presentando Matera in tutto il mondo?

Nella corsa alla vita che riprenderà dobbiamo essere riconoscibili, avere un ‘buon abbigliamento’ e ‘buone scarpe’ per correre senza affanni con il sorriso e l’obiettivo da raggiungere, cercando compagni nel gruppo con cui distribuire la fatica per risparmiare le poche energie che avremo.
Se riconosceremo i nostri limiti e quali sono stati i nostri punti di forza, se individueremo gli obiettivi da raggiungere, se riconosceremo il nostro passato remoto e prossimo, avremo nuove ‘chance’ di successo.

Il mondo che verrà non potrà dimenticare da dove viene. Saremo diversi anche noi. Ricominciamo a pensare che non dobbiamo ripartire da zero. Significherebbe cancellare il male e tutto il bene, dimostriamo al mondo che ci ha scoperti solo un anno fa che abbiamo dato valore alla parola Riconoscenza.

A noi architetti il ruolo di aiuto per immaginare il futuro del nostro territorio: i Sassi eticamente abitati; i monumenti culturalmente goduti; il territorio agricolo come una miniera verde rinnovabile; le cave come una nuova risorsa; la cultura come bene intangibile e incalcolabile; gli spazi comuni, le vie e le piazze come luoghi di relazioni sociali.
Il futuro possibile è la nostra vita. Gli architetti non possono più nascondersi, devono assumersi la responsabilità di “medici del territorio” che devono salvare una cosa preziosa.
La bellezza nutre l’anima e mai come in questo momento ne abbiamo bisogno.

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