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MATERA – «L’attore deve essere un bravo bugiardo». Se a dirlo è la persona che agli attori insegna l’espressione giusta, i gesti, il temperamento e l’accento più adatto, allora c’è da crederci.

Lia Trivisani riunisce tutto quello che tecnicamente viene sintetizzato nel termine “coach” (insegnante) e sui set delle principali produzioni che hanno scelto Matera per ambientare film con la società “Blu video” di cui è spina dorsale insieme a Geo Coretti, ha curato la filiera corta che arriva al pacchetto completo. Dalla scoperta di volti e caratteri come comparse, fino alla preparazione degli attori, il ciclo le appartiene in modo profondo.

A muoverla è sempre l’ironia, linfa vitale di chi come Lia porta anche sul palcoscenico come attrice, nevrosi, luoghi comuni e tipicità dei materani. In “Imma Tataranni sostituto procuratore” è l’alter ego di Vanessa Scalera, protagonista ormai inconfondibile della serie di Raiuno che ha appena varato la seconda stagione con numeri da record (5 milioni 235 mila spettatori alla prima puntata).

Dall’inflessione dialettale all’incedere sui tacchi fino allo stile sopra le righe, tutto ha origine dal lavoro di Lia Trivisani. I numeri straordinari della prima puntata premiano ancora una volta questa produzione nella quale lei resta un pilastro della preparazione degli attori e in particolare di Vanessa Scalera.

Quanto conta nel successo il suo lavoro rispetto a quello del soggetto liberamente tratto dai romanzi di Mariolina Venezia?

«Elementi come l’accento fanno parte delle caratteristiche di Imma Tataranni e questo si nota subito. Nella serie seguo anche altri attori del cast come Massimiliano Gallo, Vincenzo De Michele, Alice Azzariti e molto dipende dalla bravura e da quanto si è portati, si ha capacità di assorbire ciò che cerco di far passare; c’è chi ha orecchio e chi no e a volte questo rende tutto complicato».

Quindi si può concludere che Vanessa Scalera – Imma Tataranni ha orecchio?

«Sì. Non ha un’ugola potente ma è ‘intonata’ e questo aiuta. La cadenza dialettale materana è stata utilizzata evitando di fare di questo personaggio una macchietta. Quando lo abbiamo costruito, il regista Francesco Amato voleva che fosse materana a tutti gli effetti e Vanessa mi disse che avrebbe voluto ispirarsi a me che non parlo un dialetto esasperato. Imma quindi ha assunto un accento genuino e sembra quasi disinteressata a parlare un italiano pronunciato con dizione. Accade anche nel modo di camminare col piglio severo, deciso, orgoglioso delle sue radici di donna del sud che deve imporsi anche fisicamente. Nel caso di Massimiliano Gallo che ha un bellissimo accento, abbiamo lavorato comunque sulla sua connotazione napoletana molto forte ma ha funzionato. Gli dicevo ‘Devi parlare come mio padre’. Sul set per spiegare meglio cosa fosse il dialetto materano agli attori ho indicato il bue, il nostro simbolo. Noi siamo così: piantati per terra, come il dialetto».

Nel lavoro di coach, la provenienza originaria di un attore può diventare a volte un problema difficile da superare. È accaduto qualche volta?

«Sì, spesso con attori pugliesi. Si sentono uguali ai lucani che invece hanno differenze nelle vocali e quando li riprendevo sul set, sostenevano di aver usato la stessa pronuncia anche se non era così. Lavorare sui dialetti del sud non è semplice perché in fondo ne riconosciamo sempre tre: il calabrese, simile al leccese; il pugliese a cui i materani sono più vicini e il campano in cui si inserisce anche l’area potentina; questo vuol dire seguire con attenzione anche le più piccole sfumature, una frase fatta scivolare più a lungo, una parola con vocale chiusa».

Oltre alla preparazione degli attori, il suo lavoro prosegue sul set.

«Sì, insieme al regista, alla segretaria di edizione, ai rappresentanti della Rai che non sono mai mancati. Una curiosità divertente? Il mio lavoro si è spostato anche su consulenze ad esempio sugli alimenti tradizionali da far mangiare a tavola. Nella prima puntata di questa serie appena andata in onda ci sono, ad esempio, le polpette di pane al sugo che ho suggerito io come pietanza tipica. Francesco Amato ha voluto fortemente curare questi particolari tanto che mentre i protagonisti mangiavano, ha voluto usare espressioni tipiche come “c’t’ mang” (cosa ti mangi…) per indicare la bontà del piatto».

Dietro ogni personaggio c’è un lavoro di preparazione molto lungo e articolato.

«Al mattino mandavo i vocali a Vanessa Scalera e agli altri personaggi in cui leggevo loro il copione del giorno dopo, in materano per farli allenare. Poi sul set, prima di girare, ripetevamo la scena e poi se necessario correggevo ulteriori errori. Nella seconda serie però Vanessa è diventata molto più sciolta, ho dovuto correggerla raramente e oggi a volte sono gli attori stessi a rendersi conto di aver sbagliato pronuncia e a chiedere di ripetere la scena».

Nella sua carriera c’è anche il casting (la selezione e proposta di comparse e personaggi) che appartiene all’attività di Blu Video ormai da anni, tanto da essere legato ad alcune delle più grandi produzioni come “Ben Hur”, “Wonder Woman” fino a “007 – No time to die”.

«Questa parte del nostro lavoro è molto complicata, come è accaduto anche per Imma Tataranni in cui abbiamo cercato volti tipici del tratti meridionali. Si tratta di osservare un viso, un carattere adatto a ciò che si vuole raccontare. Oggi tutto però è reso complicato ad esempio dalla chirurgia estetica: ci sono donne che ricorrono, ad esempio, alle sopracciglia disegnate, alle unghie semipermanenti e questo rende impossibile utilizzarle per le produzioni perché risultano artefatte e per niente credibili. Gli stranieri, poi, sono legati a cliché che vogliono le donne col fazzoletto in testa e gli uomini scuri in volto e con la barba. Ecco perché bisogna avere la capacità di individuare lo sguardo, il volto, gli occhi anche i capelli e scegliere subito».

C’è un dialetto che le piacerebbe imparare?

«Ce ne sono due che mi piacciono molto: il siciliano e il romagnolo».

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