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RIPORTIAMO anche in Basilicata un problema che ha coinvolto solo parzialmente i governanti campani, da Di Maio a qualche assessore regionale, a qualche addetto ai lavori ( giornalisti, economisti, ecc.), facendo un buco nell’acqua, passato sotto un silenzio assordante nel Mezzogiorno.
Si tratta dell’Itavolt, ossia della più grande azienda, in materia di batterie di litio per veicoli elettrici in Europa, che ha deciso di localizzare in Piemonte un grande stabilimento, a scapito del Sud e della Campania in particolare, come vedremo tra un attimo. Un investimento che mobiliterà 4 miliardi di euro e darà luogo a circa 15-20 mila nuovi occupati, al netto dell’indotto diretto e indiretto.

La costruzione della fabbrica inizierà nella prossima estate ed entrerà in produzione prevedibilmente entro il biennio 2022-2023. L’industriale svedese Lars Carlstrom, dopo aver avuto modo di visionare l’area dismessa di Bagnoli in provincia di Napoli, ha optato per la ex area Olivetti di Scarmagno in provincia di Torino, che a suo avviso presenta vantaggi maggiori di Bagnoli, quali la presenza della automotive in Piemonte, dell’ex stabilimento Olivetti che assicura una disponibilità immediata e cosa non secondaria della buona accoglienza mostrata da tutte le autorità locali coinvolte. La proposta campana era irricevibile, perché Bagnoli deve completare l’opera di bonifica, che dura da tempi biblici.

Cose del genere in altri tempi si decidevano, ricorrendo a “contratti di programma”, gestiti tra il governo nazionale e l’imprenditore di turno, trattandosi di interventi che oggettivamente hanno una valenza nazionale, non certo locale,sia politica che economica e territoriale. Erano altri tempi , purtroppo, esisteva, qualcuno lo ricorderà, “la programmazione negoziata”. La Fca di Melfi ha seguito una strada del genere e i risultati si sono visti.

Ciò che va osservato, rinunciando a toni polemici, è la grave disattenzione del governo nazionale e delle regioni meridionali, riservata all’investimento in esame che era il classico esempio da gestire con un Sud federato, ossia un Sud con una visione complessiva, compatibile con quella del governo nazionale, pronto a far valere le proprie opportunità localizzative, in vista di contribuire a una possibile riduzione del divario col resto del Paese.

A Bagnoli è subentrata la politica, con Di Maio, nativo di Pomigliano, con la sua visione ( si fa per dire) localistica e campanilistica che di fatto ha fatto perdere all’intero Mezzogiorno una opportunità straordinaria di sviluppo.
Nel Mezzogiorno vi sono decine di aree idonee a ospitare industrie del genere. Nello specifico anche nel Mezzogiorno la presenza dell’automotive è forse più radicata, l’empatia delle istituzioni in molti casi è almeno pari a quella mostrata al Nord, la scelta extraurbana fatta dall’Fca a Melfi ha reso molto più agevole i problemi della mobilità tipici di aree metropolitane intasate da aree industriali.

In ogni caso, va osservato che il divario territoriale investe anche la presenza degli investimenti industriali esteri in Italia e a questa scala vanno anche valutate le nuove iniziative economiche: siamo in questo settore penultimi in Europa, dopo la Grecia, con disparità enormi a livello nazionale e territoriale, con un Nord Ovest che assorbe il 50%del valore aggiunto realizzato dalle multinazionali estere e il 46 degli addetti , un Nord Est, che copre il 17,8 % del valore aggiunto e circa il 20 % degli occupati, un Centro che un 21, 5 e un 17,7 e un Sud, in cui le multinazionali hanno determinato soltanto il 5,6%del V.A. e il 7, 1 degli addetti, confermando anche in questa graduatoria il ruolo del fanalino di coda alla Basilicata rispettivamente con un misero 0, 2 di V.A. e un 0,3 di addetti,preceduta soltanto dal Molise (fonte Istat).

E’ incredibile che il caso Italvolt abbia suscitato solo qualche marginale spunto critico in Campania. In realtà, è l’intero mezzogiorno che ha perso l’investimento. E’ sconcertante il silenzio dei vari governatori regionali, come Emiliano, De Luca, Bardi. Manca un Sud federato che in quanto tale sarebbe stato molto più forte nel chiedere che l’Italvolt venisse da noi .
Il Sud ha molte carte da giocare per promuovere nuovi eventi industriali nazionali ed esteri, ma occorre un disegno, una organizzazione che lo implementi , una strategia comune delle regioni meridionali , tutte cose che sono fantapolitica per la classe dirigente meridionale.

Il sud dovrebbe scrivere dossier dettagliati dei siti da utilizzare per attrarre investitori industriali, tradotti in piani di assetto territoriali condivisi a livello interregionale. Le regioni, se non vogliono toccare palla, debbono confrontarsi con Draghi, acquisendone gli orientamenti ; in estrema sintesi, debbono smetterla di essere staterelli e cambiare passo. Il premier Mario Draghi sta configurando la centralità dell’azione di governo, affidata a esperti di grande profilo, con grandi capacità di lavoro di gruppo.

Ovviamente le soluzioni sono molto complesse e implicano approcci che valorizzino le interdipendenze e le connessioni territoriali e settoriali.
E’ incredibile che si continui a pretendere di imporre nuove forme di autonomia differenziata al Nord, senza porsi preliminarmente l’obiettivo di garantire in tutto il Paese pari livelli essenziali di prestazione (lep),liberandosi della ingiusta quanto discriminante spesa storica, smettendola di ricattare le regioni meridionali pretendendo prima la soluzione della autonomia differenziata . La pretesa del regionalismo differenziato è sbagliata, perché divisiva, riproponendo di fatto nuovi divari territoriali. Comunque e in ogni caso, non è prioritaria, avendo preliminarmente il Paese altre necessità e altri bisogni sociali.

E’ fuor di dubbio che servono incentivi in favore del Mezzogiorno (fiscalità di vantaggio, credito d’imposta, ecc.), ma non bastano , ci sono molti divari non solo economici da risolvere, bisogna, senza dubbio, azzerare le diseconomie esterne per attrarre imprese e quelle non certo meno pesanti di contesto che attengono ai servizi civili che incidono sui divari di cittadinanza che abbassano enormemente la qualità di vita delle popolazioni meridionali, un tema giustamente rilanciato da Luca Bianchi e Antonio Fraschilla col libro “divari di cittadinanza. un viaggio nella nuova questione meridionale”.

Ci si aspetta che col Recovery plan si affrontino queste tematiche e che ci si muova con un approccio nazionale, con precise ricadute interregionali in funzione della riduzione del divario Nord- Sud , come è successo nel secondo dopoguerra con la Cassa per il Mezzogiorno.
“ E se l’attuazione del Recovery Plan fosse l’occasione per rimettere in ordine il sistema di governo multilivello –governo , regioni, enti locali – che, nella irrisolta conflittualità , paralizza da tempo il nostro Paese e ne cristallizza i divari economici e sociali?” si chiede molto opportunamente Claudio De Vincenti sul corriere della sera del 28 febbraio 2021, che rincalza la dose rilevando come mai non si vedano le contraddizioni che hanno portato in un vicolo cieco la questione delle autonomie regionali e locali , non rispettando le prerogative costituzionali dello Stato centrale?

Per essere più espliciti: se non ora, quando sarà attuata la legge 42 del 2009 per rendere operativa la parità del lep e relativi fabbisogni standard cui commisurare le risorse a disposizione di regioni e enti locali.
Regioni ed autonomie locali debbono prendere atto che con il governo Draghi la vecchia politica della frammentazione delle politiche per soddisfare le consorterie locali è finita.

Idee secondo cui non c’è Nord senza Sud, di un sud capace di autosostenersi, di avere consenso in base a risultati concreti, tangibili, scevri da politiche clientelari ed assistenziali, se non vogliono essere esercizi di pura retorica come è accaduto finora, necessitano di svolte a 180 gradi, che viaggino con una nuova classe dirigente.
Le opportunità vanno governate nell’interesse del paese, non per mantenere in vita vecchi e nuovi notabili.

Bisogna incominciare a pensare in termini di disegno e governo di lungo periodo dai quali deve arrivare il consenso , una rivoluzione , ma l’occasione, col Recovery Plan e con il premier Draghi, è propizia, difficilmente avremo condizioni come queste per fare sviluppo tout court.
La classe dirigente ha sempre pensato e realizzato la difesa della propria “ ditta” che coincide con la propria sopravvivenza , strumentalizzando cinicamente le istituzioni (governo centrale, regioni, autonomie locali), trasformandole in enti predatori, estrattivi. Ovviamente, non sarà facile rimuovere questo status quo, ma la fiducia dei partiti al nuovo premier è stata data in questo senso, almeno a parole. Forza presidente.

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