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POTENZA – Il “bando” non ritornerà esecutivo prima della Cassazione, e visto che i termini per presentare ricorso scadono a fine settembre i tempi potrebbero slittare oltre le elezioni di novembre. Ma la sospensione dalla carica no. In prefettura a Potenza si sta valutando la possibilità di ripristinarla dal punto in cui si era il 17 maggio, quando sono state revocate le misure cautelari nei confronti dei 7 consiglieri regionali che hanno restituito i rimborsi contestati.

E’ arrivata nel primo pomeriggio di ieri la decisione del Tribunale del riesame sull’appello presentato dai pm Francesco Basentini e Sergio Marotta, ma voluto con forza anche dal procuratore Laura Triassi. Nel mirino dei titolari dell’inchiesta sulla gestione dei contributi per l’attività dei gruppi consiliari e le spese di segreteria e rappresentanza dei singoli membri del parlamentino lucano è finita l’ordinanza del gip Luigi Spina ribattezzata “lodo Mancusi” dal nome del consigliere apripista. In altri termini l’escamotage per cui Antonio Autilio (Idv), Paolo Castelluccio (Pdl), Agatino Mancusi (Udc), Nicola Pagliuca (Pdl), Alessandro Singetta (Mdl), Mario Venezia (Pdl) e Rocco Vita (Psi), dopo essere stati raggiunti dal divieto di dimora nel capoluogo, sono tornati liberi di sedersi sugli scranni dell’assise di via Verrastro. 

«Le condotte contestate – scrive il presidente del Riesame Gerardina Romaniello – appaiono particolarmente stridenti con le funzioni istituzionali del consigliere regionale, titolare di funzione legislativa che si esplica nella creazione delle norme costitutive dell’ordinamento giuridico». Il giudice parla ancora di «pervicace disinvoltura» a proposito dei soldi rimborsati «nonostante l’assenza di motivazioni istituzionali al solo fine di soddisfare esigenze personali  ammantate ex post da motivazioni politiche».

 Quanto poi al gesto di restituire delle somme contestate, che da solo per il gip avrebbe fatto venire meno il rischio che gli indagati si intascassero in maniera indebita altro denaro, lo considera «monco in quanto non accompagnato da un’assunzione di responsabilità». Insomma se uno non ammette quello di cui è accusato perché riparare il danno? 

Inoltre il magistrato non manca di rilevare che «il comportamento non appare, neppure sotto il profilo strettamente patrimoniale ed economico, un atto dispostivo particolarmente afflittivo per gli indagati, a fronte delle varie indennità e appannaggi economici di cui godono i consiglieri regionali». 

Di più un meccanismo della serie “pago ed estinguo il mio debito con la giustizia” tipo cauzione, sul modello americano, sarebbe «contrario al principio di uguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge, essendo evidente che l’applicabilità di una tale situazione sarebbe limitata limitata ai cittadini di ceto medio-alto, che possono tranquillamente disporre di somme di denaro più o meno consistenti, mentre quelli di ceto meno abbiente ne sarebbero esclusi  con violazione del principio di parità di trattamento». In conclusione quei bonifici indirizzati alla tesoreria del Consiglio sarebbero soltanto «il tentativo disperato di alleggerire la loro posizione», mentre la decisione del gip «il frutto di un errore di valutazione». 

Resta invece sullo sfondo l’assunto dei pm per cui «solo» le dimissioni dei consiglieri sarebbero state in grado di azzerare le esigenze cautelari nei loro confronti. Assieme ai 7 “banditi” dal capoluogo sono 34 in totale i consiglieri e gli assessori esterni, in carica e non, per cui lunedì la procura ha chiesto il rinvio a giudizio. Nel complesso i rimborsi percepiti in maniera indebita ammonterebbero a circa 200mila euro tra il 2010 e il 2011, che è il periodo preso di mira. 

Le misure cautelari sono state disposte lo scorso 24 aprile per le posizioni più rilevanti dal punto di vista quantitativo: 16 in totale, tra cui quelle di due assessori, Rosa Mastrosimone (Idv) e Vincenzo Viti (Pd), entrambi dimissionari.

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