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Il 30% delle royalties del petrolio estratto in Basilicata andrà spartito con i Veneti per compensare il loro disagio per il rigassificatore di Porto Viro. Quattro anni dopo la “trappola” architettata dai 3 senatori leghisti Piergiorgio Stiffoni, Luciano Cagnin e Cesarino Monti, è scattata inesorabile sul bonus idrocarburi finora riservato soltanto ai lucani.

Lo aveva già detto il Tar del Lazio a maggio dell’anno scorso. Ma almeno due deputati lucani del Pd, Salvatore Margiotta e Antonio Luongo, se n’erano accorti per tempo: dietro l’aggiunta delle aree interessate all’“attività di rigassificazione anche attraverso impianti offshore” a quelle delle estrazioni beneficiate dal fondo per la riduzione del prezzo dei carburanti si nascondeva una grossa fregatura. Peccato che a Palazzo Madama non se ne fosse accorto nessuno ,e il testo emendato fosse stato approvato con voto bipartisan. Due i contrari. Favorevoli tutti i senatori lucani: Maria Antezza (Pd), Felice Belisario (Idv), Filippo Bubbico (Pd), Carlo Chiurazzi (Pd), Cosimo Latronico (Pdl) e l’ex sottosegretario allo Sviluppo economico Guido Viceconte (Pdl). Assente solo Egidio Digilio (ex Pdl poi Fli).

E’ stato respinto martedì pomeriggio, senza altra concessione che la mancata condanna alle spese processuali, il ricorso presentato dai ministeri di Finanze e Sviluppo Economico contro la Regione Veneto. Al centro c’era la sentenza che in primo grado aveva dato ragione a quest’ultima sulla destinazione del “fondo per la riduzione del prezzo alla pompa dei carburanti nelle regioni interessate dall’estrazione di idrocarburi liquidi e gassosi”. Questo il titolo dell’articolo 45 della legge numero 99 di luglio del 2009 (“Disposizioni per lo sviluppo e l’internazionalizzazione delle imprese, nonché in materia di energia”), poi “tradito” – di fatto – dall’aggiunta al secondo comma delle “attività di attività di rigassificazione anche attraverso impianti offshore” dopo la parola “gassosi”. Una postilla tutt’altro che indifferente, per quanto il Governo si sia impegnato per smorzarne il significato dopo i commenti entusiastici dell’ex tesoriere del Carroccio sul passaggio del testo rivisto in Senato.

Figurarsi la disdetta a novembre del 2010, un anno e mezzo più tardi, quando i due Ministeri hanno escluso i suoi corregionali dai destinatari della card carburante. Di qui il ricorso intentato ad aprile del 2011 su iniziativa della giunta guidata dall’ex ministro Luca Zaia. A quel punto dalle parti di via Verrastro devono aver prevalso sconforto e rassegnazione. Perché a differenza di Molise e Calabria, regioni che partecipano in via del tutto marginale all’alimentazione, e alla ripartizione dei fondo in questione, la Basilicata avrebbe disertato il Tar del Lazio. Come ha fatto col Consiglio di Stato all’udienza dello scorso 21 maggio, quando sono comparsi – di nuovo – Molise, Calabria e Avvocatura dello Stato per conto dei ministeri interessati. E poi nessuno. Con buona pace dei maggiorenti del Pdl (Guido Viceconte, Vincenzo Taddei e Cosimo Latronico) che sulla card benzina c’avevano messo il cappello, denunciando il disinteresse della Regione. E pure dei veneti dato che domani oltre a loro potrebbero farsi avanti anche i tarantini per compartecipare del Fondo, e poi chissà quanti altri.

La legge in questione secondo Francesca Quadri, giudice estensore della sentenza del Consiglio di Stato, sarebbe volta “a riconoscere una compensazione, sotto forma di minor costo del carburante, a tutti i residenti delle Regioni che sopportano la presenza di impianti di elevato impatto ambientale a vantaggio dell’intera collettività, così contrastando l’effetto nimby (not in my backyard)”. Quindi a meno qualcuno non pensi sul serio che una raffineria “onshore” valga meno di un rigassificatore “offshore”, nonostante la puzza e le ciminiere, il bonus carburante spetta anche alla Puglia. A parte le postille alle leggi infilate più o meno di nascosto durante i lavori di una commissione.   

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