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POTENZA – Tra le  inchieste dell’antimafia che hanno preso di mira il comune capoluogo negli ultimi anni quella più clamorosa è stata senza dubbio Iena2 che tra il 2000 e il 2004 ha ricostruito l’ascesa di alcune ditte considerate il braccio imprenditoriale del clan guidato da Renato Martorano. L’obiettivo del boss, che sta scontando 16 anni per usura aggravata dal metodo mafioso ai danni di un altro imprenditore a quei tempi considerato un suo “sodale”, Carmine Guarino, sarebbe stato di accaparrarsi le gare per le pulizie e i servizi generali di diverse aziende sanitarie lucane. In più quella per «il servizio di pulizia e di piccola manutenzione degli impianti sportivi e degli immobili» di proprietà dell’amministrazione del capoluogo, un affare da 5 miliardi e mezzo delle vecchie lire. Su questo si sarebbe innescato un contenzioso giudiziario davanti  al Tar, chiuso con il “ritrovamento” del documento mancante nell’offerta della ditta e un “summit” alla presenza del boss e di alcuni “amici” calabresi, per suggellare la pace e un alleanza strategica per l’avvenire con gli sconfitti al costo di qualche polizza d’assicurazione per la sua agenzia. Risultato: 7 indagati, e poi rinviati a giudizio per turbativa d’asta. Ma nessun amministratore. Fino alla dichiarazione di prescrizione in dibattimento a gennaio dell’anno scorso.

Più di recente è poi balzato agli onori delle cronache il caso di Rocco Lepore, ex assessore al bilancio della prima giunta guidata dal sindaco Vito Santarsiero. Lepore, all’epoca militante dell’Udeur e poi passato senza successo nel Pdl, a luglio dell’anno scorso è stato condannato per concorso esterno in associazione mafiosa a 7 anni di reclusione. Secondo i giudici del collegio presieduto dal Aldo Gubitosi è proprio attraverso di lui che il clan dei “nuovi basilischi” guidato dal boss Tonino Cossidente, collaboratore di giustizia dal 2010, sarebbe riuscito ad influenzare «anche la vita politica-amministrativa del Comune di Potenza», tra il 2004 e il 2009. Due gli episodi citati: la commessa per l’acquisto di alcune stelle di Natale da un fioraio considerato “amico” del clan; e la liquidazione in via preferenziale di un mandato di pagamento a un altro imprenditore “amico”. Lo stesso già finito nei giri d’usura del boss Martorano, che per questo aveva cercato una sponda nel suo “rivale” Cossidente.

A settembre Lepore sarà di nuovo a giudizio per un’altra tranche dell’inchiesta della Dda del capoluogo sui rapporti tra la politica e il padrino pentito della calciopoli rossoblu e del misterioso omicidio Gianfredi. Questa volta per lui l’accusa è di danneggiamento per l’incendio del portone d’ingresso dello studio legale dell’ex compagno di partito nonché vicesindaco Massimo Molinari, che avrebbe commissionato a uno degli sgherri del boss. Ma al suo fianco compariranno anche l’ex vicepresidente della giunta regionale Agatino Mancusi, il consigliere regionale Luigi Scaglione (imputato anche nel processo per la calciopoli rossoblu) e il “re delle preferenze” del consiglio comunale potentino Roberto Galante. Tutti imputati di concorso esterno in associazione mafiosa.  Mentre l’ultimo amministratore del Comune finito nel mirino dell’antimafia è stato proprio Massimo Molinari, accusato di corruzione perché si sarebbe messo a disposizione dell’imprenditore impegnato nella realizzazione del nuovo cimitero in cambio di pubblicità sul giornale “free press” del cugino.

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