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ESSÌ CHE CI piacerebbe vedere gladiatori in campo. Nell’Italia del tifo delle contrade, dei Guelfi e Ghibellini, di Coppi e Bartali, siamo quasi pronti nell’arena a vedere l’aitante ex pallavolista Marcello Pittella e il presidente della Provincia di Potenza Piero Lacorazza, che andrebbe benissimo come ala in una squadra di rugby, sfidarsi all’ultimo voto. Dal Sinni al Basento primarie di combattimento, un redde rationem finale nel tentativo di produrre un’autoriforma della politica lucana attorcigliata su una prospettiva futura che non si intravede. Questo schema tutto costruito sull’orgoglio di una radicata storia politica personale sarebbe la vera fine di quell’opera scultorea che è stata il Pd in Basilicata. In certi casi la rottura serve, anzi è quasi necessaria per uscire dalle ipocrisie.

Ci sono teorie che concepiscono la politica come uno scontro tra schieramenti avversi, in cui l’importante è solo vincere, cercare di conquistare i luoghi del potere. Parole come mediazione e compromesso sono quasi criminali. Una simile concezione inevitabilmente genera delle conseguenze: alla forza delle idee si va a sostituire la fedeltà personale.

E se un’investitura avverrà non per mediazione di tavolo di correnti ma per capacità attrattiva individuale forse avremmo un vero leader ma avremmo perso un dialogo e un agire situato e mediato.

Certo “a vincere senza pericolo si trionfa senza gloria” (Pierre Corneille), ma chiediamoci se di combattenti abbiamo bisogno o di un faticoso lavoro di gomito di uomini e donne che sappiano mettere le tessere al posto giusto secondo un mosaico disegnato da un grande artista?

 Qualcuno dal centrodestra (Alessandro Galella) dice: ma perché vi occupate sempre del Pd? Rispondo: e se cominciassimo a pensare per la Basilicata? A parte Gianni Rosa che non si ferma un secondo, i centristi di Scelta civica che orgogliosamente hanno annunciato di andare avanti da soli, questa benedetta opposizione è in grado di dare un contributo di forte discontinuità? Eppure le città, Potenza e Matera ma non solo, hanno dimostrato desiderio di discontinuità: ricordate i voti che accumulò Magdi Allam a Potenza? Bene, se il Pd continua a vincere perdendo è perché non ha avversari. Di pensiero, prima che di azione. Guardiamo alla Sardegna: è scesa in campo una scrittrice, Michela Murgia.

Continuo a pensare che la Basilicata non ha bisogno di programmi, ma di uomini e donne che sappiano metterli in moto pensando da giganti.

 Per pensare alla grande bisogna indubbiamente anche essere liberi di fare senza doversi consultare trecento volte al giorno.

 Il nodo del Consiglio? Chi è autorevole deve trascinare. Pessimisti nell’analisi, ottimisti nell’azione. Offrire piccoli buoni esempi, diffonderli, creare emulazione. Oggi sarò ad Aliano, mi basta leggere la poesia di Arminio per esserne conquistata. E ho invitato amici e amiche, e ho diffuso, comunicato. Le cose belle diventano tendenza.

E veniamo al grande nodo, sempre sullo sfondo.

Il petrolio è il nostro cruccio. Il nostro incubo, nero come la Madonna di Viggiano, splendente come la luce di quella fiamma del centro Oli che potrebbe farci impazzire come un imperatore che ha tutto e che non riesce ad essere felice.

Di cosa abbiamo bisogno in questa piccola Basilicata? Cosa vogliono ma anche cosa sono disposti a fare i lucani? Saprebbero mettersi una bandana arancione come hanno fatto i napoletani con De Magistris, vivendo, ahimè, ancora una volta una stagione di speranze deluse? I lucani riescono a ricordare oggi di essere stati briganti, come sostiene Giampiero Perri, o continuano a stare caratterialmente indietro, come il mese di novembre, secondo una bella definizione di cui scrisse anni fa Vito De Filippo? A mio avviso il tempo della nostra modernità porta in sé il bisogno di riduzione, di essenzialità, di pace e non di rancori, di servizio e non di battaglie.

Ce ne sono troppe nel mondo, e troppe nei nostri condomini.

 Il rancore diffuso per quello che avevamo e non abbiamo più ma che spesso abbiamo avuto ingiustamente ci porta al conflitto lessicale, quasi sempre emissione acustica senza consapevolezze.

Se al governatore uscente poni la domanda sulla democratizzazione delle royalties, potrebbe tenerti ore sui bisogni diffusi di tutta la regione cui sono serviti i proventi del petrolio.

Ciò non toglie che assistiamo a una paradossale cesura tra ciò che noi siamo per l’Italia e quello che l’Italia ci riconosce. Oggetto di memorandum, certo. Ma anche di mille appetiti senza idee. In questo serve una grande autorità strategica. Che abbia carattere nell’interlocuzione istituzionale, che sappia dare gerarchia alle molte idee che sono già in campo e priorità a certe soluzioni. Qualcuno mi rimprovera: fai appelli e non strategie. Infatti, non ho strategie, mi limito a raccontare e ad essere portatrice di concretezza. Avverto, forte, come cittadina, la necessità di potermi fidare, di lasciar far a chi ho ingaggiato col mio voto, di tornare a credere che qualcuno sta lavorando veramente per me.

 Ma, pensateci un attimo, tutta questa storia della partecipazione: ma non sarebbe meraviglioso che gli altri, ben retribuiti, si adoperassero davvero per il bene comune, cioè per noi tutti e che ognuno di noi beneficiasse di questo impegno? Utopico?

 Allora facciamo la nostra parte, iniziando a ricordare una cosa molto semplice: saranno primarie?Iil leader sarà cooptato? Si arriverà a un accordo? Fate quello che vi pare ma sappiate che vi stiamo guardando.

l.serino@luedi.it

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