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POTENZA – «Che si ragioni sul mio nome fa piacere ed è motivo di orgoglio. Ma certamente non credo di poter rappresentare un vero candidato. Anzi, il mio auspicio è che si possa accelerare su un processo di rinnovamento autentico». Rocco Colangelo, attuale presidente dell’Agenzia regionale dell’Agricoltura, ex assessore alla Sanità, fervente socialista confluito  nel Pd, con una doppia carriera politica e anche amministrativa, considerato un’anima intellettuale del partito e finito nella rosa dei quattro indicati dal presidente De Filippo quali possibili candidati alla presidenza della Regione è il prima a escludere la possibilità concreta di sua discesa in campo in vista. «Certo, essere stato nominato – dice al Quotidiano – mi ha fatto molto piacere».

Ma? Non si considera un possibile interprete dell’istanza di rinnovamento?

Non è questo. Soggettivamente non mi sento un candidato in campo. Diciamo che la mia candidatura non rappresenterebbe una scelta di attualità. Ribadisco: che si ragioni sul mio nome non può farmi che piacere. Credo che il governatore abbia voluto dare delle indicazioni. E ritengo che tutti coloro che sono stati proposti, anche quelli della cosiddetta lista degli esterni che sono circolati, sarebbero all’altezza della sfida. Ma credo che il tutto non possa risolversi in una questione di nomi. Innanzitutto è necessario intendersi sul concetto di rinnovamento. Partiamo dall’analisi dei fatti: l’interruzione traumatica della precedente legislatura è il chiaro segnale del fatto che un ciclo politico si è chiuso e pone con altrettanta chiarezza la necessità di reinventarne  di uno nuovo. Il che passa  dall’individuazione di nuove figure (e quando dico “nuove” non intendo il termine in senso stretto) in grado di assecondare e non ostacolare un nuovo approccio alla gestione della cosa pubblica. 

E ritengo che la questione si esaurisca alla scelta del candidato governatore, ma deve riguardare anche la composizione delle liste e anche la scelta delle alleanza.

Questione, quest’ultima, che fino a ora è stata un pò sottovalutata.

E’ questa a mio avviso può rappresentare un limite. Ritengo che una della cause maggiori della crisi politica a cui stiamo assistendo negli ultimi anni  è da addebitare proprio alla deriva trasformista, ai cambi di casacca che sono diventati sempre più frequenti. Dunque, nella costruzione delle coalizioni bisognerebbe basarsi su criteri di maggiore coerenza e linearità.

Certo è che prima di tutto il partito democratico dovrebbe fare un pò di chiarezza al proprio interno. E i fatti degli ultimi giorni suggeriscono che siamo lontani da un partito unito.

Quella del Partito democratico  è una storia complessa. Certo, a differenza degli altri ha il merito di essere ancora oggi un vero partito. Ma con un grosso limite: nato per raccogliere culture politiche diverse non è riuscito ancora a fare la giusta  sintesi, segnato com’è da profonde lacerazioni. E allora il nuovo ciclo politico dovrebbe riuscire proprio in questo: superare i dualismi e le contrapposizioni, tenendo ben presente che le tensioni non favoriscono il rinnovamento, bensì l’arroccamento.

A partire dalla scelta del prossimo candidato governatore. Mi pare di capire che sia favorevole  a una soluzione di mediazione…

Assolutamente sì. Ulteriori spaccature potrebbero rivelarsi pericolosissime, non solo il partito, ma per tutta la Basilicata. Credo che sia lo spazio per una scelta di unità e mi auguro che si riesca a fare proprio questo: non arrivare alla primarie in assetto di guerra. E’ necessario assumere decisioni che non risultino schiacciate da una parte o dall’altra, e soprattutto senza corse agli armamenti.

Buona parte del dibattito è ancora occupato dalla questione: indagati sì, indagati no. Lei cosa ne pensa?

Sicuramente la cosiddetta Rimborsopoli lucana va considerata come lo specchio della degenerazione politica che, a mio avviso, come spiegavo prima, ha molto a che vedere con gli eccessi di trasformismo. Un fenomeno che non può essere letto in chiave esclusivamente lucana, visto che, come sappiamo bene, ha interessato anche altre regioni. Detto questo, ritengo che il Pd farebbe bene  a dare l’immagine di un partito che qualcosa prova a cambiarla, in grado di prendere le distanze dalle distorsioni che si sono prodotte. Ma non credo che la questione della candidabilità degli indagati sia dirimente. Innanzitutto andrebbe fatta una differenziazione delle posizioni, togliendo magari quelle più imbarazzanti. Ad ogni modo quello a cui si dovrebbe lavorare seriamente è creare le condizioni per favorire nuove criteri per la selezione della classe dirigente. Qualcosa di ben più complesso, e che ritengo molto più tempo. Ma che ha bisogno di segnali da dare subito. Ecco perché ribadisco: oggi la sfida è metterci su questo percorso, con forze che possano assecondare i nuovi processi e non ostruirli. E questo, in primo luogo, richiede una sintesi di tutte le anime del partito.

Ci sono poi le questioni cosiddette reali. Quelle che hanno a che fare con gli indicatori economici di una regione che evidentemente non è riuscita a raccogliere tutte le occasioni che si sono presentate in questi anni?

Questo è vero solo in parte. Ci sono stati periodi in cui la Basilicata ha saputo fare molto bene, come quando si è fatta conoscere come la più europea delle regioni del Mezzogiorno. Ma certo è altrettanto vero che non sempre questo è riuscito.

Negli ultimi anni poi la congiuntura politica economica nazionale non ha giovato, anzi.

Ma è pur vero che a questo si è aggiunto un clima politico eccessivamente segnato dai contrasti.

Il quadro di instabilità non ci ha fatto bene.

Fino all’interruzione traumatica dell’ultima legislature. Ecco perché c’è un punto su tutti da cui ripartire: superare le divisioni par dare competitività alla regione attraverso una classe dirigente competitiva. Dobbiamo essere in grado di fare meglio degli altri.

m.labanca@luedi.it

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