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POTENZA – Le dichiarazioni, quelle ufficiali, le hanno lasciate all’ultimo giorno utile per la presentazione della candidature, a giochi ormai fatti. Due lunghe lettere, entrambe sofferte, da parte degli assoluti protagonisti di questa complicatissima fase pre elettorale che li ha visti partire insieme e arrivare divisi.

Per spiegare scelte “estreme” che li hanno portati alla definitiva rottura. E che da qui in poi segnano il nuovo fronte da cui far ripartire l’eterno scontro in casa dei democratici. Da una parte l’ex presidente della Regione, che quando ha pronunciato il suo discorso di dimissioni in Consiglio, lo scorso 24 aprile, difficilmente avrebbe potuto immaginare che l’esito sarebbe stato questo: l’appoggio finale per il suo successore al candidato dell’avversario di sempre, Vincenzo Folino. Dall’altra il vice presidente della Giunta, tanto determinato nella sua corsa da candidato presidente, da non aver voluto abbandonare la partita neanche quando è venuto meno il sostegno degli alleati De Filippo e Margiotta.

E se il primo con toni pacati e diplomatici fa ricadere la sua decisione nel campo del labile confine tra “libertà” e “coerenza”, mettendo avanti l’unità del partito e il bene della Basilicata tanto da parlare di “logico sblocco di un iter complesso”, l’altro va giù a muso duro, senza possibilità di fraintendimenti,  contro il presidente dimissionario ma soprattutto contro il segretario Speranza.

E’ un affondo impietoso quello dell’assessore alle Attività produttive per il quale le mosse del segretario che ha indirizzato il partito verso la candidature di Lacorazza sono maturate in un quadro di “un’inammissibile sospensione di democrazia”.

Tradendo così il suo ruolo di garante in qualità di segretario, imponendo “accordi combinati a tavolino” e assunti “nelle buie stanze, lontano dai cittadini”, invece di lasciare la scelta agli elettori attraverso primarie “vere”. Pittella non risparmia saette neanche all’ex governatore che avrebbe chiuso l’accordo su Lacorazza, con la contropartita della segreteria regionale del partito.

Va a ritroso, invece, la ricostruzione del presidente che per spiegare le sue motivazioni parte da quell’evento che ci ha condotti direttamente alle elezioni anticipate: le dimissioni di aprile con la conseguente fine della legislatura. 

Una fase chiusa con la consapevolezza che fosse necessario stringere “un nuovo patto con gli elettori”, e di conseguenza individuare colui che ne sarebbe stato l’interprete migliori. 

«Da parte mia – precisa De Filippo – senza alcun tipo di preclusione». Tanto da ricercare prima con tutte le forze un soluzione di mediazione.

«Ho sempre ritenuto – dice – che ogni soluzione aggregante, includente, per quanto possibile unitaria, è, di norma, preferibile a scelte laceranti». Per arrivare, infine, alla convergenza su Lacorazza. Proprio perché scevro da ogni preclusione. Al contrario di quanto hanno fatto certi “soloni” che sono arrogati il diritto “di rilasciare patenti di agibilità”.

Sono stete queste prese di posizione che hanno fatto traballare la tenuta del partito democratico.

Ma prima di arrivare  alle motivazioni della convergenza su Lacorazza il presidente uscente un passaggio lo fa anche sulla raccolta firma che ha avviato dopo la spaccatura con Pittella, che ha rifiutato i termini della mediazione.

«Mi sono affacciato in campo – dice – per rendere plastica l’assurdità della situazione di divisioni».

E la risposta in diretta al suo vice in Giunta è racchiusa in quel “la politica è una disponibilità di servizio agli altri, non una bramosia”. Parole pronunciate dal governatore anche nel discorso al Consiglio sulle sue dimissioni. Riprendendo così il discorso da dove lo aveva lasciato.

Anche se nulla più sarà come prima.

m.labanca@luedi.it

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