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DALLE candidature alla regione Basilicata, l’impressione che ne ricevo è che i soggetti interessati non abbiano la percezione della crisi socio-economica regionale  che ci caratterizza da lungo tempo. Siamo una regione popolata da vecchi, con aree di povertà da terzo mondo, con disuguaglianze sociale e reddituali profonde, con capacità produttiva in molti settori fuori mercato, con inefficienze della pubblica amministrazione gravissime,  con una politica spocchiosamente autoreferenziale, nonostante i reiterati bilanci negativi che realizza, eppure prevale il messaggio del “tutto a posto”, della retorica del modello lucano e di presunti valori identitari che stando alle cose accennate in precedenza sono poggiati sul nulla o meglio su una semplice mistificazione mediatica che la politica ci somministra da tempo immemore.      

In tale contesto di sostanziale scissione tra politica e realtà sociale, limitarsi a porre soprattutto il tema di “ chi deve governare”, accantonando gli altri temi contestuali di come, dove, quando e perché, non ci consente di potere esprimere un giudizio ragionato sulla futura leadership regionale.

Il tema prioritario, per dirla con K. Popper, è “ come possiamo organizzare le istituzioni politiche in modo da impedire che i governanti cattivi o incompetenti facciano troppo danno”.

E’ su questo piano che forse vale la pena di fare qualche riflessione. Il “chi” dovrebbe, a mio avviso, prendere atto della condizione di arretratezza in cui versa la Basilicata, un atteggiamento che richiede coraggio, in un contesto in cui la dissimulazione politica disonesta la fa da padrone. Certo, le gravissime negatività culturali ed economiche di cui siamo ampiamente dotati, non dipendono soltanto dalla politica messa in campo dalla classe dirigente regionale. Ci sono cause che attengono a livelli di responsabilità nazionale ed internazionale (vedi la scomparsa delle politiche per il Mezzogiorno, a seguito della soppressione della Cassa per il mezzogiorno, piuttosto che le tante regole e sovrastrutture create dalla Ue).

Ma le attenuanti non possono coprire le gravi responsabilità della politica regionale che ha imposto finora regole  e organizzazioni burocratiche che si pongono come freno allo sviluppo, sia culturale che economico della società lucana, favorendo una distribuzione delle risorse pubbliche in modo clientelare, privilegiando il demerito, l’appartenenza e la fidelizzazione partitica,  il servilismo,demotivando le potenzialità che pure ci sono, anche all’interno della Pa.  

In altri termini, ciò che è in discussione è la attuale concezione dominate della politica, i suoi effetti devastanti sulla società regionale, la sua alleanza con corporazioni (imprese e sindacati, in particolare) che si muovono sulla stessa lunghezza d’onda, finalizzando la loro azione alla inamovibilità delle loro posizioni.

Partendo dal concetto difficilmente confutabile  che viviamo in una società profondamente ingiusta e che ci muoviamo con una coperta corta (le risorse pubbliche tendenzialmente in riduzione), le domande da porci sono prioritariamente tre e cioè:1, è possibile introdurre cambiamenti al declino regionale? 2, possono essere effettivamente realizzati per uscire dalla crisi? 3, quale leadership occorre per fare tutto questo?

Sono le domande che Amartya Sen pone a società che vogliano essere più giuste ( non mi sono inventato niente).

Le risposte  a tali quesiti vanno ricercate nella volontà o meno di riformare in primo luogo l’Amministrazione regionale, riforma che consentirebbe di fare azioni importanti di spending review, ma che non si fa perché ha un costo altissimo per il ceto politico-burocratico, perché dovrebbe rinunciare ai compartimenti-stagno, alle navigazioni a vista, alla distribuzione della spesa pubblica in maniera discriminatoria, ossia dovrebbe  mettere da parte tutti quei metodi e strumenti su cui si regge attualmente il consenso politico e navigare nel mare aperto delle sfide che la modernità e la competitività pongono e che comportano efficienza, conferma della rappresentanza politica e burocratica sulla base delle competenze e dei risultati raggiunti.

E’ una impostazione che prefigura un nuovo ruolo della politica, attenta a creare situazioni di contesto ,in cui i singoli cittadini possano esprimere le loro potenzialità, senza costruire mercati protetti, senza la pretesa, oggi imperante, di  volerli assistere dalla culla alla morte.  

Mi rendo conto che chiedere una riforma siffatta è una sorta di rivoluzione, ma la ritengo l’unica strada da perseguire per sconfiggere  l’arretratezza complessiva in cui versa la regione.

In questa ottica, molto sommessamente chiederei al futuro governatore di avere coraggio, di fare la mossa del cavallo, di creare “discontinuità” con un passato politico e gestionale che ci rende perdenti. 

In piccolo, in fondo siamo 570 mila abitanti circa e disponiamo di risorse naturali enormi, in rapporto ai nostri bisogni ed  un capitale umano (quest’ultimo ancora per poco, se continua il processo migratorio) notevole.

Si tratterebbe di imitare ciò che  il cancelliere Schroder  fece in Germania in poco più di un quinquennio e cioè riforme strutturali che fecero uscire il suo Paese dalla grave crisi che stava attraversando con la sua famosa Agenda 2010 (riforma del mercato del lavoro, ecc.).  Schroder  perse successivamente le lezioni,  perché le riforme sono indigeste nel breve periodo, ma salvò la Germania nel lungo periodo.  C’è un piccolo cancelliere in Basilicata che voglia rischiare le sua poltrona per il bene della regione? tra l’altro, non è scritto da nessuna parte che potrebbe seguire la sorte del cancelliere tedesco.

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