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C’E’ una frase su tutte che colpisce e fa riflettere nel “manifesto” con il quale i contestatari di Tramutola – il giorno dopo dell’interruzione dei festeggiamenti del Pd in corso domenica sera – hanno rivendicato la propria azione: “Noi non abbiamo dimenticato”. Perché se c’è una sensazione che domina  in questa campagna elettorale è che, fatto salve eventuali sorprese alle urne, i lucani abbiano annacquato la memoria in pochi mesi.

Dopo l’indignazione provocata dalla scandalo dei rimborsi in Consiglio, la fine anticipata della legislatura, la crisi politica, e con la macchina dei consensi  tornata ufficialmente a regime sembra quasi che di quello scoramento sia rimasto poco o nulla.

Quanto è successo domenica scorsa a Tramutola ci ha detto invece che non è così. Si è trattato della prima contestazione di piazza per una politica che fino a ora non ha trovato grandi oppositori negli incontri pubblici, nonostante la crescente rabbia sociale.

Il piccolo comune della Val d’Agri ha interrotto il torpore da cui spesso sembrano affetti i lucani.

“Ridateci il futuro. Andatevene”, recitava il manifesto che ha accolto i politici in paese. Il volantino distribuito in piazza riproduceva una fattura taroccata  e presenta – nero su bianco – i numeri del fallimento politico ed economico lucano. E il giorno dopo un documento a firma di uno dei ragazzi che hanno contestato il segretario del partito democratico, Vito De Filippo, spiega: «Non ci prendiamo il merito di aver interrotto la festa», dice uno dei protagonisti della contestazione di Tramutola di domenica sera al neo segretario regionale del Pd, Vito De Filippo.

A protestare non erano da soli. Una quarantina di ragazzi (qualcuno anche simpatizzante del Pd)  che hanno dato vita a una protesta programmata e pacifica a cui si sono aggiunti altri contestatori che hanno iniziato a fischiare e urlare, fino a rendere necessari l’intervento  dei carabinieri e la festa del partito. «Ma noi abbiamo delle richieste – si legge nel lungo documento – La prima è che dovete  chiedere scusa, senza arrogarvi il diritto di sentirvi intoccabili, iniziando a confrontarvi  con umiltà. Non potete non avere delle responsabilità per lo stato in cui si ritrova la Basilicata».

Questo avviene nel comune dove, meno di dieci mesi fa, lo stesso primo cittadino (anche lui Pd), Ugo Salerà presentò le proprie dimissioni insieme ai sindaci “ribelli” della val d’Agri. Le due iniziative non hanno evidentemente nulla a che fare l’una con l’altra. Ma lo stesso malessere che portò all’atto estremo del primo cittadino serpeggia anche nelle parole dei contestari. Sconforto e senso di impotenza. «La vostra forza – si legge nel documento – sta nella nostra debolezza. Non siamo grillini ma siamo stanchi. E increduli.  Perché con precisione svizzera, in barba al più totale disinteresse mostrato nei confronti di questa terra che è casa nostra, ci ritroviamo o ritroveremo nuovamente e per l’ennesima volta ad ascoltare parole roboanti ma vuote».

Ma il grosso dell’amarezza deriva anche da un’altra circostanza: “abbiamo provato a chiedere a ragazzi sani, intelligenti, coraggiosi, impegnati ma disoccupati da, di partecipare a questa civile contestazione. Ci hanno risposto “No, non posso. Non posso far casino perché ho chiesto una mano e aspetto una risposta”. E allora domenica scorsa non c’era nulla da festeggiare. «Di certo non la democrazia. Semmai il potere. Quello che avete ormai da un numero imprecisato di anni. E che avete utilizzato per alimentare altro potere, laddove invece il vostro compito era quello di operare per il bene della collettività».

«Una regione e un popolo disonorate dalla vostra condotta – continua il documento – Questa è casa nostra, è la nostra terra. Non è solo un bacino di voti da spremere periodicamente, ma è il posto in cui abbiamo scelto di vivere. E chiediamo – è la conclusione – che questa nostra scelta venga rispettata dalla vostra condotta, non offesa e obnubilata dalla vostra supponenza».

m.labanca@luedi.it

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