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ESISTE  in Basilicata un segmento di lavoro che si colloca ai margini del mondo produttivo e che genera esclusione sociale, ricerca di equilibri lavorativi precari, al ribasso, sul piano dei diritti e dei salari e che si può stimare in circa 70/80 mila unità che costituiscono il “ bacino della marginalità” che concerne i lavoratori irregolari, i precari impiegati nella Pa (forestali, vie blu, co. co. co), i lavoratori in cassa integrazione ed in mobilità, spesso percettori di ammortizzatori sociali modestissimi,  i disoccupati di lunga durata over ’50, le donne con particolare riferimento a quelle che hanno affrontato la maternità, di cui ci si occupa con grande approssimazione.  

Le varie misure di incentivazione all’occupazione  concesse per le singole categorie di lavoratori si rifanno ad incentivi alquanto indifferenziati, le variazioni degli importi sono minime, orientando le aziende a selezionare i nuovi assunti  secondo criteri che mal si conciliano con l’obiettivo di offrire pari opportunità ai  diversi segmenti di offerta.

All’interno del bacino della marginalità  vi sono, come dire “gli ultimi”, che si possono dividere in tre categorie, ossia 1°, coloro che  ricevono da lungo tempo sussidi di fame  e si vedono costretti ad integrarli con lavori in nero, 2° ,coloro che occupano postazioni  precarie di lavoro nell’area pubblica (forestali, lavoratori delle vie blu) e 3° gli  over ’50,  disoccupati, spesso capi-famiglia con prole.

Secondo una stima di larga massima ammontano a circa 10 mia unità

E’ questo il segmento più esposto alla crisi e più carente in termini di opportunità d’impiego. Molti dei  lavoratori in questione non soltanto hanno perso il lavoro, ma non hanno   la “speranza” di trovarne un altro e si collocano nel perimetro che delimita la povertà e le grandi disuguaglianze regionali in termini di reddito e di lavoro che assorbe complessivamente circa il 40% della popolazione lucana. Considerare prioritario tale segmento  è un modo plastico per fare  efficaci azioni di contrasto alla povertà con politiche che offrano lavoro e non sussidi, come vedremo di seguito. 

E’ questo il terreno proprio della Pa ,come “occupatore di ultima istanza”.

L’ambito lavorativo di riferimento prevede più spesa pubblica, ma ritagliata in un filone d’intervento  che comporta l’impiego dei conseguenti salari  e stipendi  verso beni e consumi prodotti maggiormente in Basilicata.

La spending review,  con cui la regione sta e dovrà con maggiore intensità fare i conti  nel prossimo futuro  non può avere una impostazione lineare: ci sono spazi da tagliare ed altri da potenziare. Occorre avere  sobrietà e nel contempo senso delle priorità da fronteggiare.       

Per il  segmento  in discussione è ipotizzabile pensare ad un “piano straordinario di occupazione” , come dire, ad un piano straordinario in un piano  pluriennale del lavoro più complessivo che faccia emergere il lavoro in nero  e che non può non avere come soggetto attuatore l’ente regione, utilizzando in modo coordinato fondi regionali, nazionali, comunitari e delle società  del petrolio.

Le attività verso cui far convergere tale forza lavoro sono quelle concernenti la manutenzione del territorio, in settori e per bisogni non ritenuti appetibili dal mercato e che al contrario sono decisivi per la qualità di un territorio e propedeutici a opportunità di sviluppo molto diversificate( turismo, industria boschiva, energia, ecc.) : si tratta di opere che non richiedono grandi investimenti infrastrutturali, sono, come dire, ad alta intensità di lavoro, possono mobilitarsi in tempi brevissimi, non richiedono grandi professionalità. Rispondono sostanzialmente proprio alle necessità lavorative della platea suddetta, dando risposte concrete ed immediate alla emergenza occupazionale in atto di una platea, si ribadisce, disperata.

Il piano va configurato come strumento per innovare in materia di forestazione produttiva, affidandolo ad organismi manageriali che abbiano il duplice compito di realizzare interventi a buona produttività del lavoro  e di movimentare gradatamente  verso il lavoro produttivo vero e proprio una parte rilevante della platea in esame, attualmente ripiegata su attività e sostegni al reddito di carattere assistenziale.   

Le aziende estrattive vanno  coinvolte fattivamente in tale piano del lavoro, tenendo conto, tra l’altro, che attiene prevalentemente ad opere di tutela ambientale, necessarie per attenuare gli effetti negativi  dell’attività estrattiva. Un intervento del genere peraltro farebbe tornare l’Eni  alla missione originaria, voluta da Enrico Mattei, di assegnare una funzione sociale di crescita complessiva all’ente in questione  nelle aree in cui opera e non solo in esse, accanto a quella di fare profitti per i propri azionisti.

Il problema va portato sul tavolo del Consiglio e della Giunta regionale che usciranno dalle urne delle elezioni di novembre.

 Portare le multinazionali del petrolio sul terreno di creare utilità sociali non sarà facile, ma la regione e gli enti locali hanno mezzi di pressione notevoli per conseguire tale risultato (il comune di Viggiano docet).

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