X
<
>

Condividi:
8 minuti per la lettura

 

E’ CHE questa storia del consociativismo del centrodestra lucano è una bella invenzione del centrosinistra. Ragiona così, Vincenzo Taddei, il forzista più democristiano che trovi, orgogliosamente democristiano. E si intuisce che vuole farti riflettere sul messaggio sottile che le vecchie volpi comuniste hanno interesse a far passare: se uno è a traino di un altro e dunque è gregario, tanto vale stare con il capo. Sarà. E’ campagna elettorale per tutti, ed è il momento in cui anche Taddei alza la voce con De Filippo. Era Dc anche lui con gli altri, prima di loro, tra i pochi che disse no alla fusione voluta da Colombo, rivendica la fatica doppia e dunque il doppio merito della costruzione del partito di Silvio qui in Basilicata, nella terra della storia scontata. Si avvia al suo “ambulatorio” del sabato mattina. Parlare con gli elettori, stringere accordi, diciamo pure fare clientele. Un democristiano trova sinonimi pur di legittimarne il fondamento. In fondo è la loro forza, rassicurare. Mai essere escatologici.
C’è il momento in cui bisogna sedersi a un tavolo e mediare (quasi sempre) e il momento in cui bisogna essere spregiudicati. L’ex sindaco di Castelmezzano, dunque dirimpettaio di Folino, oggi consulente del ministro De Girolamo, usa la tattica di chi ne ha viste molte. E quel suo socchiudere gli occhi, composto nell’impermeabile blu d’ordinanza, ti dice che è uno che sa tessere bene la tela. L’opposizione vera chi la farà in questa regione? E se si capovolgesse la geografia? L’unica certezza finora sono le faccende grilline. Non è che non abbiano combinato pasticci, pure loro. Tra chi è dentro e chi è fuori, carte e controcarte, le parole del capo e le divergenze locali, risultati oscurati e crociate informatiche con i giornalisti, alla fine i cinque stelle hanno nel giro di poche ore consegnato l’alloro al tenente Di Bello e gliel’hanno pure strappato. Pedicini l’ha spuntata secondo la più classica delle regole, ha vinto sulle disgrazie dell’altro.
I pidiellini si rianimano in campagna elettorale, sicuri che lo scettro dell’opposizione non andrà ai cinquestelle. L’ambizione, anzi, è alta. Le divisioni del Pd sono una bella occasione e provano a sperarci. A modo loro, con cauta abilità. Modello Taddei, appunto. Che, in quanto a comunicazione, è proprio l’opposto di un Gianni Rosa. Se parli tanto, poi finisci con l’essere preso in considerazione, questa è la tesi.
“La scissione romana? Qui non ci sarà”, assicura Taddei. Viceconte, smaltita la rabbia e le parolacce del giorno dello strappo, qui sta e qui rimane. O meglio a Roma sta e a Roma rimane. Perchè il partito è nelle mani dei due plenipotenziari provinciali, Latronico a Matera e Taddei a Potenza. Dunque non ci saranno falchi e colombe e neppure manovre per separare l’eredità di voti. Restano tutti berlusconiani, compreso Guido che pure è comparso nella lista dei traditori. Se in Basilicata andranno da soli o stringereanno alleanze ancora non è deciso. I nodi sono due: attendere cosa fa il centrosinistra, ma non è detto che davanti a una scissione si strappino i capelli per accordarsi con una delle due parti. Il ragionamento di Taddei è: noi siamo con tutti coloro che vogliono sovvertire il sistema di potere in atto. Dunque vogliono catalizzare, non inseguire. Distinguendo gli accordi politici da quelli programmatici. Cosa ha fatto, in fondo, l’Udc, nella passata consiliatura rispetto al centrosinistra?
La questione indagati? Pagliuca, se lui vorrà, potrà ricandidarsi. Dovrà capire lui se il suo rapporto con l’elettorato è cambiato. I dirigenti del partito non sbarrano la strada. Nel partito di Berlusconi non si può. E lavorano su due tavoli: le liste sono quasi pronte, vanno limate, il candidato presidente è un punto interrogativo, Silvana Arbia, giudice alla corte internazionale dell’Aja, è stata solo una suggestione. A dieci giorni dalla presentazione delle liste si può incalzarla? Non è escluso che il nome del presidente potrebbe essere scelto anche nella rosa dei dirigenti in carica. Sembra, ad oggi, nient’affatto scontato che, nell’eventualità di un accordo con Scelta civica, il candidato presidente possa essere Navazio. Bisogna mobilitare le truppe, motivarle, bisogna creare entusiasmo. Navazio saprà farlo con i suoi ex elettori Pdl? Anche il partito di Bronzino qualche problema interno ce l’ha. In ogni caso non sarebbe semplice spiegare alla base pidiellina il ritorno del figliuol prodigo al quale si riaprono le porte o si offre addirittura lo scettro dopo essere stato sindaco berlusconiano a Melfi, convertito a Magdi Allam e poi folgorato da Monti. Sebbene l’alleanza con Scelta civica sia strategica per il Pdl, l’importanza di chiamarsi Ernesto non sembra essere fondamentale nel popolo di centrodestra. Ma è tutto da discutere. Di sicuro Taddei tesse la tela. La campagna elettorale è la primavera della politica. Tutti fuori dal letargo. 

E’ CHE questa storia del consociativismo del centrodestra lucano è una bella invenzione del centrosinistra. Ragiona così, Vincenzo Taddei, il forzista più democristiano che trovi, orgogliosamente democristiano. E si intuisce che vuole farti riflettere sul messaggio sottile che le vecchie volpi comuniste hanno interesse a far passare: se uno è a traino di un altro e dunque è gregario, tanto vale stare con il capo. Sarà. 

 

E’ campagna elettorale per tutti, ed è il momento in cui anche Taddei alza la voce con De Filippo. Era Dc anche lui con gli altri, prima di loro, tra i pochi che disse no alla fusione voluta da Colombo, rivendica la fatica doppia e dunque il doppio merito della costruzione del partito di Silvio qui in Basilicata, nella terra della storia scontata. Si avvia al suo “ambulatorio” del sabato mattina. Parlare con gli elettori, stringere accordi, diciamo pure fare clientele. Un democristiano trova sinonimi pur di legittimarne il fondamento. In fondo è la loro forza, rassicurare. Mai essere escatologici.C’è il momento in cui bisogna sedersi a un tavolo e mediare (quasi sempre) e il momento in cui bisogna essere spregiudicati. 

L’ex sindaco di Castelmezzano, dunque dirimpettaio di Folino, oggi consulente del ministro De Girolamo, usa la tattica di chi ne ha viste molte. E quel suo socchiudere gli occhi, composto nell’impermeabile blu d’ordinanza, ti dice che è uno che sa tessere bene la tela. L’opposizione vera chi la farà in questa regione? E se si capovolgesse la geografia? 

L’unica certezza finora sono le faccende grilline. Non è che non abbiano combinato pasticci, pure loro. Tra chi è dentro e chi è fuori, carte e controcarte, le parole del capo e le divergenze locali, risultati oscurati e crociate informatiche con i giornalisti, alla fine i cinque stelle hanno nel giro di poche ore consegnato l’alloro al tenente Di Bello e gliel’hanno pure strappato. Pedicini l’ha spuntata secondo la più classica delle regole, ha vinto sulle disgrazie dell’altro.I pidiellini si rianimano in campagna elettorale, sicuri che lo scettro dell’opposizione non andrà ai cinquestelle. L’ambizione, anzi, è alta. Le divisioni del Pd sono una bella occasione e provano a sperarci. A modo loro, con cauta abilità. Modello Taddei, appunto. Che, in quanto a comunicazione, è proprio l’opposto di un Gianni Rosa. Se parli tanto, poi finisci con l’essere preso in considerazione, questa è la tesi.

“La scissione romana? Qui non ci sarà”, assicura Taddei. Viceconte, smaltita la rabbia e le parolacce del giorno dello strappo, qui sta e qui rimane. O meglio a Roma sta e a Roma rimane. Perchè il partito è nelle mani dei due plenipotenziari provinciali, Latronico a Matera e Taddei a Potenza. Dunque non ci saranno falchi e colombe e neppure manovre per separare l’eredità di voti. Restano tutti berlusconiani, compreso Guido che pure è comparso nella lista dei traditori. Se in Basilicata andranno da soli o stringereanno alleanze ancora non è deciso. I nodi sono due: attendere cosa fa il centrosinistra, ma non è detto che davanti a una scissione si strappino i capelli per accordarsi con una delle due parti. 

Il ragionamento di Taddei è: noi siamo con tutti coloro che vogliono sovvertire il sistema di potere in atto. Dunque vogliono catalizzare, non inseguire. Distinguendo gli accordi politici da quelli programmatici. Cosa ha fatto, in fondo, l’Udc, nella passata consiliatura rispetto al centrosinistra?La questione indagati? Pagliuca, se lui vorrà, potrà ricandidarsi. Dovrà capire lui se il suo rapporto con l’elettorato è cambiato. I dirigenti del partito non sbarrano la strada. Nel partito di Berlusconi non si può. E lavorano su due tavoli: le liste sono quasi pronte, vanno limate, il candidato presidente è un punto interrogativo, Silvana Arbia, giudice alla corte internazionale dell’Aja, è stata solo una suggestione. 

A dieci giorni dalla presentazione delle liste si può incalzarla? Non è escluso che il nome del presidente potrebbe essere scelto anche nella rosa dei dirigenti in carica. Sembra, ad oggi, nient’affatto scontato che, nell’eventualità di un accordo con Scelta civica, il candidato presidente possa essere Navazio. Bisogna mobilitare le truppe, motivarle, bisogna creare entusiasmo. Navazio saprà farlo con i suoi ex elettori Pdl? Anche il partito di Bronzino qualche problema interno ce l’ha. In ogni caso non sarebbe semplice spiegare alla base pidiellina il ritorno del figliuol prodigo al quale si riaprono le porte o si offre addirittura lo scettro dopo essere stato sindaco berlusconiano a Melfi, convertito a Magdi Allam e poi folgorato da Monti. 

Sebbene l’alleanza con Scelta civica sia strategica per il Pdl, l’importanza di chiamarsi Ernesto non sembra essere fondamentale nel popolo di centrodestra. Ma è tutto da discutere. Di sicuro Taddei tesse la tela. La campagna elettorale è la primavera della politica. Tutti fuori dal letargo. 

Condividi:

COPYRIGHT
Il Quotidiano del Sud © - RIPRODUZIONE RISERVATA

EDICOLA DIGITALE