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Dalle dodici pagine della lettera inviata dal presidente Napolitano al Parlamento, il cui il Capo dello Stato apre all’ipotesi dell’indulto e dell’amnistia per risolvere il problema del sovraffollamento delle carceri italiane potrebbe emergere pure la soluzione  della libertà per gli oltre 40 imputati della Rimborsopoli lucana. I consigliere regionali coinvolti nello scandalo giudiziario sulla gestione “allegra” dei rimborsi spese, che lo scorso aprile aveva portato a tre arresti, sette divieti di dimora e un fiume di avvisi di garanzia potrebbero così mettersi in salvo e chiudere questa brutta parentesi. L’indulto  prevede  il  condono o la commuta di parte della pena per i reati commessi prima della presentazione del disegno di legge di indulto che dovrà essere approvato dalla camere. Nel caso di peculato, ovvero il reato contestato agli imputati della Rimborsopoli lucana, in caso di condanna e in caso di applicazione del’indulto resterebbe – eventualmente – l’obolo da restituire allo Stato per le possibili sentenze dei giudici delle varie sedi della Corte dei Conti. In certi casi consiglieri, deputati e senatori non solo potrebbero non dover espiare alcuna pena in caso di condanna, ma – se venisse approvata un’amnistia – potrebbero non varcare neanche la soglia del tribunale. Ipotesi, quest’ultima, però meno probabile, visto che l’amnistia sarebbe prevista solo con i reati punibili con un massimo di quattro anni di pena. Mentre la pena prevista per il peculato varia da da quattro a dieci anni di reclusione.

Sta di fatto che la questione giudiziaria che ha determinato lo stallo della politica, e in particolar modo del centrosinistra lucano che sul punto specifico non riesce a trovare una sintesi condivisa da tutti, potrebbe siogliersi così in una bolla di sapone. E intanto, il senatore lucano del Movimento Cinque Stelle, Vito petrocelli, ironizza su twitter: « È pronta la norma ricompatta Pd: si chiama “indulto”. Norma “ad piddinam”».

 

LA SCHEDA – COSA PUO’ SUCCEDERE

il disegno di legge attualmente allo studio delle camere prevede “l’amnistia per tutti “i reati commessi entro il 14 marzo 2013 per i quali è stabilita una pena detentiva non superiore nel massimo a quattro anni”. Per quanto riguarda l’indulto “è concesso nella misura di tre anni in linea generale e di cinque per i soli detenuti in gravi condizioni di salute””. Con questo – nel caso di rimborsopoli – ad essere amnistiata sarebbe la sola accusa di falso che prevede due anni di pena massima mentre per quella di peculato che ne prevede 10 (entrambe sono contestate assieme a praticamente tutti i consiglieri indagati) si potrebbe applicare soltanto l’indulto ma una volta stabilita la condanna, “abbuonando” tre anni di pena.in altri termini, considerato che 3 anni sono il minimo della pena per il peculato commesso prima dell’ultima riforma (come nel caso dei consiglieri) e di lieve entità (come nel caso di molti ma non tutti i consiglieri indagati) con le attenuanti c’è la possibilità che la pena (non la condanna!) venga completamente indultata. ma di fatto se fosse rimasta nell’ambito dei tre anni si sarebbero comunque applicate pene alternative, tant’è vero che al netto di amnistia e indulto nessuno di quelli a cui sono contestati gli episodi più lievi ha mai rischiato né temuto sul serio di andare in carcere. a maggior ragione se il falso fosse amnistiato.altra storia sono invece le pene accessorie come l’interdizione dai pubblici uffici che non verrebbero indultate a meno di riforme “pro-berlusconem”. stessa cosa per la mannaia della legge severino sulla decadenza e l’incandidabilità di chi riceve condanne a più di due anni (indultate o meno). con questo mi sembra che affermare che rimborsopoli verrebbe mandata a carte e quarantotto da una legge di amnistia e indulto come quella di cui si parla ti renderai conto che non sarebbe veritiero. persino la scelta dell’abbreviato per rientrare nella soglia dei tre anni indultati potrebbe essere inutile, superflua per chi senza il falso non teme minimamente di andare in carcere o ai domiciliari ma piuttosto l’interdizione o la decadenza dall’incarico elettivo che ricopre.

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