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“Vittima nel tarantino” (TG1 20,30 10 ottobre 2013)

Comincio la salita che porta alla strada delle scuole con le prime gocce d’ acqua. Una signora zoppicante sta attraversando la strada, mi fermo , mi vede e  alza il dito con un sorriso, si avvicina “Andate verso Galllitello? Me lo date un passaggio ?” Di corsa libero da mille cose il sedile accanto  e mi incammino (si mi incammino perché da quel momento il mio andare diventa una camminata tenerissima).

“Ah le mie gambe, non mi portano più” mi fai lei dopo avermi ringraziato troppe volte.

“Vi capisco, anch’io…. Ma perché non portate un bastone? Vi aiuterà. Anche io ho un bastone. Vedete?”

“No, non se parla, ho paura di cadere, meglio così, passo dopo passo arrivo sempre e non vi preoccupate per me, dove vi fermate voi, scendo io”, con un viso che disarma ogni obiezione.

“Ma no, che ci perdo, ditemi, piuttosto dove andate e vi ci accompagno”

“Ma davvero?”, con un sorriso così e incredula per aver trovato una persona normale  “Certo e allora?”

“Vado all’inizio della salita per Dragonara” mi fa candida.

“Ma  come pensavate di fare tutta questa strada a piedi? I vostri figli non potevano accompagnarvi?”.

E lei mi racconta di loro che lavorano, si alzano presto e alla fine mi fa, facendosi saltare addosso solo un desiderio dolcissimo “Stamattina ho deciso che volevo sapere come sta il noce che mio marito amava e voglio proprio andare a vedere”.

Siamo arrivati, mi mostra  l’albero ancora più maestoso per gli sguardi che lei ha cominciato a fargli e “Potete prendervi tutte le noci che volete e quando volete” mentre ritorna sui suoi passi verso di me ancora ringraziandomi.

Me ne vado con il grazie che non sono riuscito  a dirle e con il rammarico di non averle chiesto il nome anche se da ieri che la racconto la chiamo Ninetta come mia madre. Ero uscito pensieroso  e avevo rallentato i miei passi per comprare il giornale il più tardi possibile. Sapevo già cosa avrei letto. Che la Basilicata sprofonda, che i suoi templi sono immersi nell’acqua e nel fango e che la politica sta lì ad accrescere acqua e fango. Che ancora oggi leggerò  il sommario dei veti e dei ma, che fra le mille parole buttate per raccontare la giaculatoria dell’asprezza e del rancore non troverò, ovviamente,  “accordo” (disposizione d’animo ad agire insieme, si può fare senza il cuore?) e mai “Basilicata”.

E troverò “cambiamento” da tutte le parti, come quelle bestemmie  che molti dicono zoppicando sulle parole e mettendole  in mezzo ogni volta come una virgola. Per cambiare bisogna tornare alle radici. Le radici sono la famiglia e quel che ti consegna nel tempo, ciò in cui ciascuno di noi crede che sia un’idea, un modo di essere, Dio, e il luogo in cui vivi che riceve respiri solo dalla presenza attiva dei suoi abitanti e dalla difesa del patrimonio prezioso che ha conservato e che ci regala ancora. Solo da questi punti fermi si può partire per strade nuove. E ancora,  per cambiare ci vogliono cuore e passione, le sole che danno la spinta per agire perché “le omissioni sono più letali degli errori consumati” (Anais Nin). Al contrario la Basilicata resterà l’unica vittima di questo tempo oscuro e  il suo nome continuerà a smarrirsi nei notiziari anche quando si tratta di un uomo che non è riuscito a saltare la piena che le omissioni degli altri non hanno saputo fermare.

In tutto questo ho incontrato la signora Ninetta. Che ardore e che tenerezza. Se i politici le conoscessero, niente di noi potrà essere dimenticato.

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