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LA PAROLA d’ordine doveva essere rinnovamento. Per ora a tenere banco sembra un altro lessico.

Si affida agli avvocati la lista personale di mister Pittella. Si affidano ai giudici i radicali contro la colletta di firme della Sel, aiutati da un video piuttosto esplicito che gira in Rete.

Tralasciano però di sostenere le ragioni dell’Avvocatura di Stato che davanti al Tar insisterà per escludere i candidati di Pittella.

Tralasciano anche quelli di centrodestra che pur si erano fisicamente spesi in tribunale il giorno del pasticciaccio per sbarrare l’ingresso nella stanza dove si riceveva la documentazione.

È la politica che comunica “il fare opposizione” e poi non la fa.

Si affida ai magistrati di partito l’Udc per espellere i ribelli che hanno abbandonato la bandiera di militanza. Temporeggiano con un “non so” i tre assessori materani candidati, piuttosto sordi all’invito di Stella di dimettersi. Perchè non lo fa Lacorazza, ad esempio? Il presidente della provincia di Potenza lo spiega oggi, al nostro giornale, potete leggerlo qui.

Si culla, nel frattempo, nell’attendismo imbarazzante del Pd il vicesindaco di Scanzano, un uomo postideologico che pur in una giunta di centrosinistra si candida con Di Maggio. Scarta, quest’ultimo, le denunce di un ufficiale medico di Nova Siri che lascia Fratelli d’Italia piuttosto innervosito. E ricuce, sempre Di Maggio, il senso dello strappo politico con Monti tradito in nome di una nuova prospettiva che parte proprio dalla Basilicata.

E di tradimenti ci sarebbe a lungo da scrivere per come sono andate le cose finora.

Traditi si sentirono, tanto per cominciare, i consiglieri regionali quando De Filippo decise in una notte di abbandonare il comando della nave. Ora che sono indagati anche tutti i consiglieri dell’Emilia ci sarà e crisi anche lì? si chiede Scaglione, non più candidato in nome di quel benedetto rinnovamento che qui è una regola con mille deroghe, dal centrodestra al centrosinistra.

E cosa diranno i nudi e puri dei Cinquestelle finiti anche loro in una delle rimborsopoli del centronord?

Tradito da divergenze d’apparato inconciliabili con gli ex comunisti sembra essere Pittella al quale non una parola di incoraggiamento è andata in queste ore dal truppone dei suoi co-candidati.

Era più meno a maggio, di sera, quando Folino, il kattivik della Basilicata, annunciò: è Lacorazza il nostro candidato presidente. E allora il nostro sarà Pittella, risposero, preoccupati e stizziti, De Filippo e Margiotta. Poi Folino aggiunse: possono essere anche altri.

E iniziava così la lunga, snervante, a tratti farsesca fisarmonica che stringeva e allargava guizzi del passato e desideri di originalità, logorando la vecchia macchina del consenso che per anni, tanti anni, scoppiettante, si era messa in moto.

Stava succedendo qualcosa ma pochi se ne rendevano conto, una rottura del rapporto di potere e di orientamento dell’elettorato. Che cosa sarebbe stato più utile nessuno riusciva a razionalizzarlo, presi dal desiderio di egemonia che ogni giorno portava a una boiata diversa. Alla fine di un agosto passato nell’indolenza delle ferie l’inattesa scissione, la più clamorosa.

Pittella rimaneva senza i suoi amici. De Filippo, Margiotta, Chiurazzi passavano col nemico. Meglio un’inimicizia sicura che un’amicizia da costruire. Ma chi aveva tradito chi, non si è mai capito fino in fondo.

Di certo dalla vetta di Lauria Marcello aveva cominciato a navigare il Sinni alla conquista alla Basilicata. Furono giorni di nomi in libertà. La parola d’ordine era rinnovamento, ma nessuno ci credeva fino in fondo. Arrivava la sera con un’offerta di candidature puntualmente smentita all’alba, covava in realtà un’insaziabile desiderio inappagato di non si capiva esattamente cosa. Liste pulite, cambiamento, nomi di alto profilo: la retorica si sprecava, al passo si bruciavano le figurine.

Si cercava un Di Nardo del XXI ed ogni volta era un profilo diverso, ora un capitano d’industria, ora un politico di gran mestiere, come D’Andrea. Che era pronto a scendere in campo, ma fu messo da parte quasi al traguardo. Come si sentì il professore? Tradito.

Le truppe allenate al tifo furono disorientate dal rimescolamento delle alleanze, il giorno prima pronte a scendere in campo contro Lacorazza, il giorno dopo chiamate a sostenerlo. Un gran caos, un percorso di marcia invertito.

Traditi a loro volta si sono sentiti i supporter del gladiatore quando, vinte le primarie ha riabbracciato il nemico.

Nella domenica delle palme del Pd, Marcello entrò in chiesa finalmente applaudito. Le nozze riparatrici lasciavano cuori disperati. I traditi, però, neppure mezzagiornata dopo, e già erano nel letto dell’avversario. Toc toc, c’è posto per noi?

Il centrodestra fino ad allora era stato a guardare sperando di potere salire dentro la pancia del cavallo di Troia. Per fortuna, per nulla sprovveduti, i berluscones locali sempre meno azzurri avevano allenato i condottieri di casa: Navazio? Sì, tutti lo volevano, ma nessuno si decideva ad ingaggiarlo, come ha scritto MariaTeresa Labanca. Una donna, Arbia? Sì, forse. Quel giudice di gran corte a lungo corteggiata dalla destra rigurgitata dai comunisti della Sel. Tradite le differenze, confusi gli spiriti. Nomi buoni per ogni comandamento. Fino al divorzio l’ultima notte utile prima del sabato, quel divorzio che ora impensierisce i radicali.

Resisteva e combatteva la sua lotta di retroguardia il buon Gianni Rosa. Mai con Viceconte, proclamava. Ma nel giorno in cui convocava tutti i giornalisti per annunciare che mai avrebbe ceduto arrivarono i fratellastri del Pdl a scongiurarlo. O insieme o si muore.

 Avevano un progetto in testa. Viceconte aveva già tradito Berlusconi, il virus circolava. E così arrivava al galoppo il senatore Di Maggio, nel giorno del gran complotto contro Monti respirando l’aria di questi tempi da operetta in un’Italia che secondo il Time nel 2020 non esisterà più, inabissata dal default.

La grande unità del centrodestra siglata in nome dei dissensi romani lasciava strascichi anche da questa parte, nelle truppe deluse. Gianni, perchè l’hai fatto?

E i Cinque stelle? Ve li siete dimenticati? I cinque stelle eleggevano convinti il signore del lago, il tenente acclamato da tutti ma non dal capo. Via Rete il comico genovese (ma ce ne sono molti in giro di comici) lo bruciava, neppure il tempo di brindare alla nomina. Tradito si è sentito Di Bello e ha lasciato il movimento. Tradito si è sentito il giorno della presentazione delle liste quando ha scoperto che la Arbia non avrebbe più guidato la Sel.

Le ultime ore sono le cronache che potete leggere sul giornale di oggi. Tira aria di bonaccia in questa vigilia del voto. Hanno sprecato talmente tante energie a tentare di dissolversi tra loro che ora stentano a darsi lo sprint. Arrivano i primi programmi, lunghi, troppo lunghi per consentire ai cittadini di capirci qualcosa e soprattutto differenziarli.

l.serino@luedi.it

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