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di ANTONIO RIBBA 
segue dalla prima 
 
In realtà, questi nomi, più o meno illustri, della politica regionale li ho presi dai siti di, rispettivamente, Acquedotto Lucano, Acqua Spa e Società Energetica Lucana. Si tratta dei presidenti delle società, coloro che ho collocato nella testa di lista, oppure di semplici membri dei rispettivi Cda.
A voler essere proprio pignoli, un paio di questi nomi sono davvero in corsa per il Consiglio regionale, in quanto candidati nelle liste del Partito democratico!
Questo attacco del mio intervento potrà suonare come una provocazione, eppure io sto qui riportando semplicemente dati pubblici e fatti ben noti: nelle società regionali sotto il controllo pubblico, la selezione degli amministratori avviene sulla base dell’appartenenza politica. Ammesso che esistano meriti e capacità da parte degli amministratori, questi consistono soprattutto nella fedeltà a un capocorrente o a un capo di partito o, al limite, a un capo della giunta regionale. La logica sistemica sottostante a questa pratica è che il consenso politico si costruisca anche attraverso il ferreo controllo di queste società e, più in generale, degli enti pubblici regionali.
Peraltro, tale logica sistemica di conservazione ed ampliamento del consenso perseguita dai notabili, in particolare dagli esponenti del Partito democratico, pare anche avere un buon fondamento empirico, visto che nonostante il fallimento politico al governo della regione, il centrosinistra appare tuttora come quasi inamovibile dalla stanza dei bottoni.  
Naturalmente, a leggere i programmi, sia attuali che passati, dei candidati alla presidenza regionale, si nota facilmente che non mancano mai appelli al “Merito” quale stella polare dell’azione di governo. Ad esempio, Marcello Pittella tra un post poetico su Facebook e una orazione elettorale, ha fatto della meritocrazia un punto cardine del suo futuro (eventuale) impegno da governatore.
Ora, viene spontaneo chiedersi quale sia l’origine della relazione inversa che sembra sussistere tra l’invocazione del criterio del merito e la sua pratica attuazione. Una volta, un insigne studioso pubblicò uno studio in cui si argomentava come al giocatore di biliardo non serva conoscere davvero le leggi della fisica per piazzare buoni colpi. Infatti, se il giocatore non si comportasse in partita “come se” effettivamente conoscesse quelle leggi, i suoi colpi sarebbero scadenti e, dunque, egli perderebbe la partita. Così, il merito è maggiormente invocato nei sistemi a larga presenza del settore pubblico, mentre laddove prevalgano condizioni di mercato il termine è meno abusato. In sostanza, tornando alla metafora del giocatore del biliardo, il mercato, pur con tutti i suoi non piccoli problemi ed i suoi potenziali fallimenti, funge da meccanismo di disciplina rispetto alla tentazione di nominare amministratore delegato di una società il cavallo di Caligola. Infatti, il rischio concreto in questo caso è il fallimento o, meno drammatico ma comunque rilevante, se la società è quotata sul mercato azionario si rischia una forte caduta del suo valore. Dunque, ammesso pure un sufficiente funzionamento del sistema di mercato, la selezione degli amministratori in questi contesti deve essere del tipo “come se” ci si stesse basando sul merito.
Chiarisco un punto: io, ancora oggi, vedo me stesso come un onesto socialdemocratico, sostenitore cioè di un sistema di economia mista. Ovvero, non credo nelle virtù taumaturgiche ed autostabilizzanti dell’economia di mercato e, di conseguenza, ritengo fondamentale per la stabilità del sistema un ruolo attivo dello Stato nell’economia, anche esercitato attraverso il controllo di imprese ritenute di rilievo strategico. Tuttavia, il fatto è che se uno guarda in modo spassionato alla Basilicata degli ultimi decenni; al suo sistema politico-economico ad estesa presenza pubblica; alla occupazione militare di società ed enti pubblici attuata dal centrosinistra; ai numeri disastrosi evidenziati da una molteplicità di indicatori economici e sociali, che vanno dal tasso di povertà all’elevata disoccupazione fino al dramma dello spopolamento della regione, si convince che il sistema, continuando su questa strada, è destinato all’inevitabile collasso. Totale e definitivo. La regione Basilicata ha dunque bisogno di un cambiamento che, almeno per una fase transitoria, deve prevedere l’introduzione nel sistema di maggiori elementi di mercato. 
Rispetto al tema specifico delle società pubbliche lucane, una buona strada da seguire per il prossimo governo regionale potrebbe essere quella di un accorpamento perlomeno delle tre società citate in questo articolo: Acquedotto Lucano, Acqua Spa e Società Energetica Lucana. Pur preservando un ruolo maggioritario per il capitale pubblico, data la rilevanza anche sociale dei particolari beni e servizi offerti da queste società, si dovrebbe però favorire l’ingresso nella nuova società di capitale privato, fino al traguardo di una quotazione in Borsa. Rilanciata la gestione su un piano di maggiore efficienza e solidità economica, si dovrebbero peraltro considerare per il futuro anche ipotesi di ulteriori aggregazioni su scala sovraregionale. 
Sarebbe possibile nominare quale presidente o amministratore di questa ipotetica, nuova società semi-pubblica il cattolico fedelissimo di De Filippo, o l’affiliato più sinistro di Folino-Speranza? Senza dubbio, ci sarebbero serie resistenze frapposte dal capitale privato e possibili reazioni negative dei risparmiatori che hanno in portafoglio il titolo.  
In chiusura, sottolineo che in questa sede non ci si sta proponendo di brevettare l’invenzione della ruota. Esperienze simili, di aggregazione di società che producono e distribuiscono beni e servizi pubblici con presenza del capitale privato, sono già largamente presenti nel Nord Italia. Queste società, a quanto si vede, non hanno certo creato il paradiso terrestre per i cittadini e sono talvolta contestate per il livello delle tariffe, per la qualità del servizio offerto e pure per le nomine nei Cda (che in buona parte continuano a spettare ai politici)! Io che però ho il privilegio (si fa per dire) di guardare ad entrambe le realtà economico-sociali, non ho dubbi sul fatto che il sistema di socialismo dal volto umano realizzato in alcune aree del Nord Italia, pur con tutti i suoi problemi, abbia ancora qualcosa da insegnare alla piccola, ed oggi assai infelice, Basilicata. 

 

Proviamo a pensare, in relazione alle prossime elezioni regionali lucane, ad una ipotetica lista di sostegno al Pd ed al centrosinistra che scenda in campo con questa formazione: Rosa Gentile, Ignazio Petrone, Antonio Triani, Franco Gentilesca, Francesco Labriola, Giovanni Mussuto, Giovanni Soave.  Sono senza dubbio bei nomi, con la testa di lista che comprende addirittura un ex assessore regionale e il braccio destro di Roberto Speranza. 

Probabilmente, il risultato elettorale di questa lista virtuale sarebbe alquanto lusinghiero.

 In realtà, questi nomi, più o meno illustri, della politica regionale li ho presi dai siti di, rispettivamente, Acquedotto Lucano, Acqua Spa e Società Energetica Lucana. Si tratta dei presidenti delle società, coloro che ho collocato nella testa di lista, oppure di semplici membri dei rispettivi Cda.A voler essere proprio pignoli, un paio di questi nomi sono davvero in corsa per il Consiglio regionale, in quanto candidati nelle liste del Partito democratico!

Questo attacco del mio intervento potrà suonare come una provocazione, eppure io sto qui riportando semplicemente dati pubblici e fatti ben noti: nelle società regionali sotto il controllo pubblico, la selezione degli amministratori avviene sulla base dell’appartenenza politica. 

Ammesso che esistano meriti e capacità da parte degli amministratori, questi consistono soprattutto nella fedeltà a un capocorrente o a un capo di partito o, al limite, a un capo della giunta regionale. La logica sistemica sottostante a questa pratica è che il consenso politico si costruisca anche attraverso il ferreo controllo di queste società e, più in generale, degli enti pubblici regionali.

Peraltro, tale logica sistemica di conservazione ed ampliamento del consenso perseguita dai notabili, in particolare dagli esponenti del Partito democratico, pare anche avere un buon fondamento empirico, visto che nonostante il fallimento politico al governo della regione, il centrosinistra appare tuttora come quasi inamovibile dalla stanza dei bottoni.  

Naturalmente, a leggere i programmi, sia attuali che passati, dei candidati alla presidenza regionale, si nota facilmente che non mancano mai appelli al “Merito” quale stella polare dell’azione di governo. 

Ad esempio, Marcello Pittella tra un post poetico su Facebook e una orazione elettorale, ha fatto della meritocrazia un punto cardine del suo futuro (eventuale) impegno da governatore.Ora, viene spontaneo chiedersi quale sia l’origine della relazione inversa che sembra sussistere tra l’invocazione del criterio del merito e la sua pratica attuazione. Una volta, un insigne studioso pubblicò uno studio in cui si argomentava come al giocatore di biliardo non serva conoscere davvero le leggi della fisica per piazzare buoni colpi. Infatti, se il giocatore non si comportasse in partita “come se” effettivamente conoscesse quelle leggi, i suoi colpi sarebbero scadenti e, dunque, egli perderebbe la partita. 

Così, il merito è maggiormente invocato nei sistemi a larga presenza del settore pubblico, mentre laddove prevalgano condizioni di mercato il termine è meno abusato. In sostanza, tornando alla metafora del giocatore del biliardo, il mercato, pur con tutti i suoi non piccoli problemi ed i suoi potenziali fallimenti, funge da meccanismo di disciplina rispetto alla tentazione di nominare amministratore delegato di una società il cavallo di Caligola. Infatti, il rischio concreto in questo caso è il fallimento o, meno drammatico ma comunque rilevante, se la società è quotata sul mercato azionario si rischia una forte caduta del suo valore. 

Dunque, ammesso pure un sufficiente funzionamento del sistema di mercato, la selezione degli amministratori in questi contesti deve essere del tipo “come se” ci si stesse basando sul merito.Chiarisco un punto: io, ancora oggi, vedo me stesso come un onesto socialdemocratico, sostenitore cioè di un sistema di economia mista. 

Ovvero, non credo nelle virtù taumaturgiche ed autostabilizzanti dell’economia di mercato e, di conseguenza, ritengo fondamentale per la stabilità del sistema un ruolo attivo dello Stato nell’economia, anche esercitato attraverso il controllo di imprese ritenute di rilievo strategico. 

Tuttavia, il fatto è che se uno guarda in modo spassionato alla Basilicata degli ultimi decenni; al suo sistema politico-economico ad estesa presenza pubblica; alla occupazione militare di società ed enti pubblici attuata dal centrosinistra; ai numeri disastrosi evidenziati da una molteplicità di indicatori economici e sociali, che vanno dal tasso di povertà all’elevata disoccupazione fino al dramma dello spopolamento della regione, si convince che il sistema, continuando su questa strada, è destinato all’inevitabile collasso. 

Totale e definitivo. La regione Basilicata ha dunque bisogno di un cambiamento che, almeno per una fase transitoria, deve prevedere l’introduzione nel sistema di maggiori elementi di mercato. Rispetto al tema specifico delle società pubbliche lucane, una buona strada da seguire per il prossimo governo regionale potrebbe essere quella di un accorpamento perlomeno delle tre società citate in questo articolo: Acquedotto Lucano, Acqua Spa e Società Energetica Lucana. 

Pur preservando un ruolo maggioritario per il capitale pubblico, data la rilevanza anche sociale dei particolari beni e servizi offerti da queste società, si dovrebbe però favorire l’ingresso nella nuova società di capitale privato, fino al traguardo di una quotazione in Borsa. Rilanciata la gestione su un piano di maggiore efficienza e solidità economica, si dovrebbero peraltro considerare per il futuro anche ipotesi di ulteriori aggregazioni su scala sovraregionale. 

Sarebbe possibile nominare quale presidente o amministratore di questa ipotetica, nuova società semi-pubblica il cattolico fedelissimo di De Filippo, o l’affiliato più sinistro di Folino-Speranza? Senza dubbio, ci sarebbero serie resistenze frapposte dal capitale privato e possibili reazioni negative dei risparmiatori che hanno in portafoglio il titolo.  In chiusura, sottolineo che in questa sede non ci si sta proponendo di brevettare l’invenzione della ruota. 

Esperienze simili, di aggregazione di società che producono e distribuiscono beni e servizi pubblici con presenza del capitale privato, sono già largamente presenti nel Nord Italia. 

Queste società, a quanto si vede, non hanno certo creato il paradiso terrestre per i cittadini e sono talvolta contestate per il livello delle tariffe, per la qualità del servizio offerto e pure per le nomine nei Cda (che in buona parte continuano a spettare ai politici)! Io che però ho il privilegio (si fa per dire) di guardare ad entrambe le realtà economico-sociali, non ho dubbi sul fatto che il sistema di socialismo dal volto umano realizzato in alcune aree del Nord Italia, pur con tutti i suoi problemi, abbia ancora qualcosa da insegnare alla piccola, ed oggi assai infelice, Basilicata. 

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