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Antonio Ribba ha posto, opportunamente, alla vigilia delle elezioni regionali il tema di una seria riforma e ristrutturazione di enti di emanazione regionale. E’ un bene che se ne cominci a discutere e a verificarne assetti e efficienza, dopo anni nei quali – ai più – essi sono apparsi più funzionali alla costruzione di clientele e potentati politici che a garantire una buona gestione.

Meno persuasiva mi sembra la ricetta che Ribba propone, cioè accorpare Acqua spa, Acquedotto lucano e Sel, e consentire nella nuova società l’ingresso ai privati, non si capisce se anche, eventualmente, con la maggioranza delle quote. Intanto perché, sia Ribba che i suoi interlocutori, sembrano aver dimenticato che sull’acqua non più di due anni fa c’è stato un referendum che ha sancito che la risorsa idrica è un bene comune e che quindi va sottratta a qualsiasi gestione di tipo privatistico. Il fatto che il suo risultato sia disatteso in quasi tutto il Paese non è una buona ragione che si continui a farlo, anche in Basilicata. Più di un anno fa posi proprio su queste pagine questo problema. Mi rispose la presidente di Acquedotto lucano sostenendo che essendo preclusa la partecipazione di azionisti privati (preclusione che Ribba intende sopprimere) il problema non si poneva, mentre al contrario la questione è che un ente pubblico, essendo una società per azioni, possa nelle assunzioni e negli appalti agire come una società privata. E ciò va a detrimento di efficienza e trasparenza. Quindi va bene la proposta di Ribba per quel che riguarda l’accorpamento tra Acqua spa e Acquedotto lucano, ma per andare nella direzione opposta a quella da lui indicata, cioè verso la costruzione di un ente economico a carattere pubblico in osservanza ai risultati del referendum sull’acqua.

Questo non significa escludere in linea di principio l’opportunità di un rapporto tra pubblico e privato in altri campi. Ad esempio nel settore delicatissimo dell’energia non avrei nessuna difficoltà a sperimentare forme e modi di compartecipazione delle società concessionarie delle estrazioni petrolifere alla realizzazione del piano energetico regionale, soprattutto se questo fosse bilanciato da una pari partecipazione dei microproduttori di energia alternativa, soprattutto per quel che riguarda il solare, alla società regionale. Per gli stessi consorzi di bonifica, per i quali esiste un problema preliminare di risanamento dei bilanci, si potrebbe pensare a un ritorno al loro carattere originario si associazione di produttori. Come anche nell’organizzazione del ciclo di smaltimento dei rifiuti è difficile pensare a un superamento dell’attuale rapporto tra pubblico e privato, anche se è comunque necessario che esso sia disciplinato da norme informate alla trasparenza e al coinvolgimento dei cittadini.

Che dire poi degli enti preposti alla tutela dell’ambiente? Non sarebbe meglio in questo caso che essi fossero trasformati in Autorità indipendenti guidate da persone la cui competenza e autonomia dal potere politico e dalla pubblica amministrazione siano opportunamente verificate e certificate?

Insomma, le soluzioni potrebbero essere le più diverse e differenziate a seconda dei settori. Quel che è certo è che un cambiamento è indispensabile e che una discussione pubblica approfondita tesa a delineare un piano di riforme non è più rinviabile. Non è detto nemmeno che sia la Regione a promuoverla. Visto come è andata con lo Statuto regionale si rischia di non venirne mai a capo. Nessuno vieta a forze organizzate indipendenti o a singole personalità di farsene carico. Ribba potrebbe occuparsene e prendere l’iniziativa?

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