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RIFLETTENDO sugli esiti del voto in Basilicata, un primo risultato positivo può essere senza dubbio registrato. Se si esclude, infatti, il comunicato in politichese asiano dell’ex governatore Vito De Filippo e l’iperbole ingenuamente precotta di Guglielmo Epifani, i toni trionfalistici, un tempo presenti nelle dichiarazioni a caldo sia dei vincitori che dei perdenti, sono scomparsi ed il clima si è fatto più dimesso.

Il dato dell’astensionismo, se sommato a quell’8% circa di schede bianche o nulle, ha disegnato il quadro di quella che più che una disaffezione è un netto rifiuto di una politica i cui croupier si sono dati mano libera da troppo tempo e addirittura si attribuiscono le mance da soli.

È questo un rifiuto pacifico, ma netto, unico strumento nelle mani del cittadino contro quel celebratissimo diritto di voto ad ogni costo che altro non diventa che un ricatto morale, quasi un imperativo ad accontentarsi e rendersi complice di qualcuno purché sia uno.

Un rifiuto su cui dovrà senza dubbio meditare l’intelligenza politica, ma anche la scaltrezza; un rifiuto contro cui potranno continuare a sbattere la testa gli sconfitti, accusando quel 53% di astenuti che avrebbe potuto renderli vittoriosi.

Tanto per cominciare al senatore Tito Di Maggio, che denigra i lucani a suo dire incapaci di liberarsi della cappa di un pur ipersqualificato centrosinistra, bisogna ricordare il suo trasbordo in corso d’opera alle comunali materane del 2007 dalle liste civiche-IdV alla Casa delle Libertà e/o le sue risposte non proprio edificanti sul lavoro nero del polo del salotto e sollecitargli la riflessione che forse, semplicemente, la sua persona non è stata ritenuta sufficiente garanzia di rinnovamento da un popolo che non vuole più esprimere preferenze né a naso turato né tanto meno a bocca aperta.

Anche lo 0,48% della Zamparutti dovrebbe meditare sul non voto; il risultato disastroso della Rosa nel pugno è infatti figlio della poca chiarezza che sta tra le grandi battaglie di civiltà, certi toni apocalittici  e il garanparaculismo che porta a candidare personaggi discutibili e discussi.

Nonostante il catartico eorum culpa Pannelliano, dunque, anche in questo caso la posta non valeva il cammino verso il seggio. Diverso discorso per i 5stelle che, invece, pagano lo scotto delle grandi ombre dei guru capaci nel contempo di riempire le piazze di sconcertato sarcasmo e le urne di sarcastico sconcerto per quei meravigliosi slanci ora resi scomposti dall’inesperienza e dall’eccesso, ora imbustati e rispediti al mittente da una web dittatura partecipata.

Altra riflessione va fatta sulla vittoria del centrosinistra.

Da astensionista convinta (ma non perpetua astensionista) vorrei dedicare al neo eletto Presidente la bellissima canzone di Ivano Fossati “Il disertore”.

«In piena facoltà, egregio presidente, le scrivo la presente, che spero leggerà».

Al di là dei devoti e inossidabili sostenitori di partito, sappiamo bene che il centrosinistra lucano ha demeritato molto, anzi infinitamente, e l’essere arrivato primo in sostanza su se stesso non le deve essere di troppo conforto.

Abbiamo già detto che l’alternativa non c’era se non quella della diserzione, appunto, che è stata convintamente praticata tanto da chi ha inteso non recarsi alle urne, tanto da chi come proprio consigliere ha scelto la soddisfazione di potervi ricordare nel segreto dell’urna quello che avete fatto a danno di noi tutti.

Francamente deve convenire che, pur non volendo chiamare in campo la magistratura, la fiducia della gente non la meritavate più e quello che vi è giunto col voto, se vuole essere onesto con se stesso, è da leggere se non come voto clientelare (io non credo che sia così in ogni caso), più come un disperato voler credere che come un credere convinto.

Rimborsopoli a parte, i concorsi truccati, i provvidenziali corvi, le verità mezze mezze e tutto l’ambaradan di questioni che ha riempito pagine e pagine di giornale non si possono cancellare con un colpo di spugna e certe prospettate rivoluzioni rischiano di acquisire la sinistra fisionomia di colpi di stato se a farle, come è in realtà, sono le stesse persone contro le quali il popolo vorrebbe ribellarsi.

“Io non ce l’ho con lei, sia detto per inciso” ma devo farle presente che agli occhi dei più, anche a quelli di alcuni volenterosi giovani del suo partito, non sa tanto di rivoluzionario la presenza in consiglio del giovane Robortella, risarcimento danni ad un padre che avrebbe dovuto risarcire (per il momento solo nella fiducia sprecata) tutti noi.

Allo stesso modo sicuramente non avrà sapore di rivoluzione offrire l’assessorato a chi se lo è attribuito (a suo dire per accordi già intercorsi) prima ancora di sapere se davvero sarebbe stato eletto. E non rivoluzionario, né tanto meno democratico, è pure il colore tutto azzurro della giunta a cui il grave rischio è porre un rimedio maggiore del danno.

L’impellenza della pennellata rosa, come ricorderà bene, nell’ultima giunta ha portato all’imposizione di una gentilissima che si è distinta per essere finita ai domiciliari tra pupazzetti e provoloni silani; certo adesso una quota rosa di sua fiducia potrebbe trovarla anche lei, ma con quale risultato?

Il primo, certamente, sarebbe quello di incidere ancora pesantemente sui conti della Regione, proprio come è accaduto nella decaduta giunta De Filippo; il secondo, ma non di minor peso, sarebbe quello di umiliare ancora una volta le donne, “preferendole” solo per necessità e concedendo loro per grazia magnanima quello spazio che dovrebbe essere dato per diritto.

Insomma, lasci perdere; la rivoluzione è in una cultura che qui non esiste ancora, si impegni piuttosto a costruirla, premiando il merito e non le amicizie, anche se queste in politica sono reciprocamente assai fruttuose.

Dopodiché non resta che formulare i migliori auspici, non tanto per lei, ma per i lucani; a voler essere sincera fino in fondo, non credo che tutti voi potrete fare bene in assoluto, ma spero che possiate fare meglio e il meglio è verificabile e, purché sia sempre in crescendo e non soltanto fruscio di scopa nuova, è pur qualcosa. E per concludere con Fossati “dica pure ai suoi, se vengono a cercarmi, che possono spararmi, io armi non ne ho”.

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