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CI sono voluti molti anni e l’esplosione degli scandali sulla gestione  del danaro pubblico da parte delle autonomie locali per consentire  l’accesso – anche sui media – alle opinioni di coloro che dissentivano  dalla communis opinio (irrobustitasi con la mai sufficientemente  deplorata riforma del titolo V della Costituzione del 2001), che  attribuiva apoditticamente a detto sistema sublimato nelle regioni, la  capacità di avvicinare l’amministrazione alle esigenze dei cittadini,  riuscendo a favorirne la soddisfazione. Abbiamo così subito la degenerazione incontrollata ed autoreferenziale  degli enti pubblici territoriali e delle società pubbliche (tali da far  rimpiangere le vecchie “partecipazioni statali”) che ha concorso  all’esplosione della spesa pubblica e a cui va posto urgente drastico  rimedio se si vuole consentire una significativa riduzione sui cittadini  ed imprese della pressione fiscale, anch’essa stratificatasi negli  ultimi anni su un sistema “multilivello” che strangola ogni genere di  iniziativa economica.

Le regioni ne rappresentano la massima  espressione: esse si dovevano differenziare dagli altri enti locali per  essere dotati di potestà legislativa finalizzata, nel disegno del  costituente, ad adeguare la normativa primaria delle varie realtà  locali: l’analisi delle poche leggi regionali annualmente emanate  evidenzia invece come esse si interessino prevalentemente di materie di  scarso rilievo sociale concentrandosi sull’amministrazione più che sulla  programmazione: sono diventate essenzialmente mega Asl e centri di  potere autoreferenziale che si alimentano attraverso un sistema tanto  capillare quanto costoso di società, agenzie, enti, comitati, consorzi,  autorità, ambiti, etc. Bisogna, dunque, chiedersi se l’Italia possa sopportare ulteriormente,  sotto il profilo socio-economico-istituzionale, il mantenimento in vita  dei costosi apparati regionali che si connotano al più per l’emanazione  di leggine di scarso rilievo sociale ampiamente sostituibili con atti  amministrativi e se, soprattutto, tale situazione sia sostenibile  nell’ambito di un sistema di gerarchia delle fonti che vede già accanto  alla legge statale, quale fonte primaria, una sempre più ampia normativa  comunitaria tesa a creare uno “spazio giuridico comune europeo”.  Infatti il declino delle regioni non è solo la conseguenza degli uomini  che le hanno gestite ma dell’evoluzione dei tempi in quanto nel nuovo  millennio gli ordini di grandezze sono mutati a causa della  globalizzazione e l’assetto disegnato dal costituente del 1946 è  completamente cambiato: un vero peccato che nel 2001 non se ne siamo  accorti realizzando una riforma del titolo V della Costituzione che oggi  ben possiamo definire “antistorica”. Per ridare competitività al nostro sistema Paese è, dunque, necessario  agire subito: vi è un insostenibile squilibrio fra costi e benefici su  cui bisogna agire immediatamente per contribuire ad una riduzione  strutturale della spesa pubblica senza ulteriormente intaccare il  livello dei servizi offerti ai cittadini.

*Procuratore Regionale della Corte dei Conti per la Basilicata

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