X
<
>

Condividi:
3 minuti per la lettura

POTENZA – Finalmente se ne parla anche a livello nazionale. Si parla di reddito minimo di cittadinanza, una novità assoluta perché concetto a volte osteggiato anche a sinistra. Sarà forse la radice profonda dell’idea, che arriva dalle lotte studentesche dei sessanta e settanta a far tremare un po’, tanto da lasciare la proposta nel cassetto per troppo tempo.

Adesso, con un po’ di diffidenza, il governo pensa alla “sperimentazione”, vedere come reagiranno i cittadini a basso reddito davanti l’ipotesi di un assegno mensile che, però, non può essere una sostituzione al lavoro. E quindi l’Italia ci prova con la legge di stabilità ad allinearsi con il welfare di molti altri paesi europei, Olanda in primis, che grazie al reddito minimo sono riusciti anche ad attirare che si spostava da altre nazioni. Insomma, non è da sottovalutare questo primo passo in avanti, ma c’è da capire come si svilupperà e semmai arriverà a compimento. Per ora la sperimentazione riguarda solo i “grandi centri urbani”, nel testo della legge si osserva come questo aspetto di redistribuzione riguardi soltanto le metropoli italiane, da Roma a Milano passando per Torino e Napoli. Dunque non tutti potranno, a legge licenziata, beneficiare di questa risorsa saranno i “poveri” così come vengono chiamati, delle grandi aree metropolitane. In tutto si dovranno dividere 120 milioni di euro, milioni che avrebbero già una copertura in un altra spina nel fianco dell’Italia: le pensioni d’oro.

Dunque il prelievo del contributo dalle pensioni sopra i novantamila euro è la risposta. Un prelievo che, in ogni caso, sarà progressivo: si parte da un 6% prelevato sul totale della pensione da novantamila, che sale al 12% per quelle sopra i 128mila euro e il 18% per gli assegni sopra i 193mila euro. Ma la distribuzione del 120 milioni non è certamente tutta da calcolare in un anno, ma spalmata in tre anni.

Si parla comunque soltanto di un embrione, anche perché all’interno del maxi emendamento non esiste un testo ben preciso, questo significa che molto probabilmente alla Camera ci saranno modifiche, quindi la mossa potrebbe essere anche, come dice Vendola: «pura propaganda». Sta di fatto che di reddito minimo in Basilicata ci hanno costruito anche delle vittorie, come quella di Pittella e intere campagne elettorali, come quella del Movimento 5 Stelle. Pittella dal fervore iniziale è passato ad un sempre più cupo attendismo. Il problema sarebbe dove reperire le risorse a livello regionale, così a fine campagna elettorale, in un incontro con il Psi a Potenza, si scagliò contro la proposta «campata in aria dei 5 Stelle. Prima di capire quanto possiamo stanziare per ogni assegno dobbiamo vedere cosa farà il governo nazionale». Il segnale è arrivato.

I 5 Stelle invece hanno ampiamente parlato di circa 5-600 euro per ogni lucano. Beppe Grillo ne ha fatto un grido di battaglia: «Fondi – dissero – facilmente prelevabili nella lotta agli sprechi, in primis sul sistema della formazione in Basilicata e tramite l’eliminazione del programma Copes». L’idea era quella di tagliare dirigenze, consulenze, programmi di sostegno economico e formazione per far confluire tutto quanto all’interno del reddito minimo di sussistenza.

E poi Florenzo Doino, del partito Comunista dei lavoratori che è andato ben oltre tutte le aspettative: 1200 euro al mese per tutti i lucani. Uno stipendio, praticamente. E a proposito di nomi e modifiche: la proposta che sta valutando il governo si chiama “Sie”, ovvero “sostegno per l’inclusione sociale”.

v.panettieri@luedi.it

Condividi:

COPYRIGHT
Il Quotidiano del Sud © - RIPRODUZIONE RISERVATA

EDICOLA DIGITALE