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segue della prima
di ALESSANDRO GALELLA*
Tutti sappiamo gli enormi limiti che la sanità italiana ha e che in molti casi purtroppo ritroviamo anche nella sanità lucana.
Sarebbe forse inutile un elenco dei tanti singoli episodi di mala sanità accaduti anche di recente in Basilicata, o dell’atteggiamento di tanti infermieri nei confronti dei pazienti, o scrivere della disorganizzazione, dell’impreparazione di moltissimi, dell’assurda influenza della politica sulle nomine di primari e direttori generali per appartenenza politica e non per preparazione e competenza. E non penso che dovremmo consolarci solo perche’ in un panorama sanitario meridionale disastroso, sembra che la sanità lucana possa distinguersi per qualcosa in positivo. Non ho competenza e preparazione per dare un giudizio tecnico sulla sanita’ o sul San Carlo e voglio anche riconoscere l’impegno di tantissimi che ho incontrato a svolgere il proprio lavoro al meglio.
Ma avendo la consapevolezza che sanità vuol dire, vita, vuole dire sorrisi o pianti, disperazione o gioia, vuol dire vita serena, ricoveri sereni oppure giorni infernali, mi chiedo se ci sia, soprattutto da parte dei responsabili della gestione delle aziende ospedaliere, la volontà di offrire veramente il massimo ai nostri concittadini.
In ospedale, per diverse notti ho dovuto combattere e disperarmi semplicemente per la presenza di un assurdo campanello che a pochi metri dalla stanza con 6 degenti, per tutto il giorno e la notte, squillava ogni 10 minuti piu’ forte di una normale sveglia. Serviva  per segnalare agli infermieri le richieste da parte dei pazienti di tutto il reparto. Praticamente, qualche super inteligentone, ha ben pensato di mettere un campanello fortissimo, come quello che serve per chiamare i camerieri in pizzeria quando le pizze sono pronte da portare, a pochi metri dalla stanza dei ricoverati.
Durante quelle notti pensavo costantemente a quanto poco sarebbe bastato per cambiare completamente la degenza di centinaia di persone che in un anno passano da quella stanza. 
Evidentemente nessuno dei progettisti aveva avuto voglia di pensare al ricovero e all’organizzazione del reparto con gli occhi, il cuore e le orecchie del ricoverato.
Leggendo vari libri ho trovato l’incredibile storia di un americano, Don Berwick, nel 2004 presidente dell’istituto del miglioramento della sanita’ della Carolina, che si era messo in testa di rivoluzionare la sanità nel suo stato.
Aveva riscontrato con studi scientifici che gli ospedali a causa di un 10% di errori sistematici, perdevano 100.000 persone all’anno per errori da addebitare a pratiche sanitarie e consuetudini sbagliate. Si avete capito bene, per piccoli errori umani, morivano 100.000 persone all’anno. Cioe’ nei procedimenti sanitari e nelle consuetudini americane vi era un 10% di errore sistematico che poi causava la morte del paziente. Errori anche minimi, che causavano polmoniti, raffreddori, intasamento della trachea, semplicemente per posizioni sbagliate del paziente, antibiotici presi dai pazienti in ritardo di poche ore, ecc. ecc. Convocando i suoi collaboratori disse: «Penso che dovremmo salvare 100 mila vite e credo che dovremmo riuscirci entro il 14 giugno 2006, alle ore 9.00. Tra 18 mesi».
Don Berwick e i suoi 75 collaboratori hanno salvato oltre 130 mila pazienti attraverso la formalizzazione di nuovi standard di cura, grazie alla collaborazione di tutto il personale di tutti gli ospedali della Carolina.
Le sue parole nell’annunciare il successo mi hanno messo i brividi: «Celebreremo l’impresa  in cui ci siamo imbarcati, il coraggio della sincerità, la gioia della compagnia, l’intelligenza con cui avremo agito e i risultati che abbiamo raggiunto. Celebreremo noi stessi, perché non potremo festeggiare con i pazienti che abbiamo salvato perché per noi sono degli sconosciuti. Il nostro contributo consiste in ciò che non accadrà a quegli sconosciuti. Sapremo che madri e padri saranno presenti a lauree e matrimoni che avrebbero perduto, che nipoti conosceranno nonni che non avrebbero conosciuto, ci sarà chi andrà in vacanza e chi porterà a termine il suo lavoro, leggerà libri e ascolterà sinfonie e coltiverà giardini, che senza il nostro lavoro, sarebbero pieni solo di erbacce».
Vorrei che finalmente la Basilicata avesse uomini così, che finalmente i lucani tirassero fuori la voglia di lavorare, di impegnarsi in politica o per la società, per raggiungere obiettivi come questi e non solo per assicurarsi qualche soldo in più, qualche piacere o qualche voto sicuro. 
E’ per questo che ho sentito il dovere di scrivere questa lettera a chi avrà l’onore e l’onere di occuparsi della nostra comunita’ di cittadini e di malati. Spero che il prossimo Presidente della regione e colui che nominerà Assessore alla Sanità,  i direttori generali e gli ingegneri che progetteranno i prossimi ospedali, lo spero con tutto il cuore, che cambino profondamente il modo di porsi nei confronti delle vite che dipendono dalle loro scelte, spero che possano riflettere a fondo sul potere che hanno e di che peccato si macchierebbero se continuassero a vivere il loro impegno in modo approssimativo e mediocre come in Basilicata si continua a fare da troppo tempo.
Spero che quel campanello, come simbolo di una sanità folle e disumana, possa finalmente smettere di suonare per sempre. 
*Portavoce Fratelli d’Italia 
Potenza

PURTROPPO da oltre un anno ho la sfortuna di avere a che fare in modo molto intenso con l’ospedale San Carlo e con i medici in generale.

 

Tutti sappiamo gli enormi limiti che la sanità italiana ha e che in molti casi purtroppo ritroviamo anche nella sanità lucana.

Sarebbe forse inutile un elenco dei tanti singoli episodi di mala sanità accaduti anche di recente in Basilicata, o dell’atteggiamento di tanti infermieri nei confronti dei pazienti, o scrivere della disorganizzazione, dell’impreparazione di moltissimi, dell’assurda influenza della politica sulle nomine di primari e direttori generali per appartenenza politica e non per preparazione e competenza. 

E non penso che dovremmo consolarci solo perchè in un panorama sanitario meridionale disastroso, sembra che la sanità lucana possa distinguersi per qualcosa in positivo. Non ho competenza e preparazione per dare un giudizio tecnico sulla sanità o sul San Carlo e voglio anche riconoscere l’impegno di tantissimi che ho incontrato a svolgere il proprio lavoro al meglio.

Ma avendo la consapevolezza che sanità vuol dire, vita, vuole dire sorrisi o pianti, disperazione o gioia, vuol dire vita serena, ricoveri sereni oppure giorni infernali, mi chiedo se ci sia, soprattutto da parte dei responsabili della gestione delle aziende ospedaliere, la volontà di offrire veramente il massimo ai nostri concittadini.

In ospedale, per diverse notti ho dovuto combattere e disperarmi semplicemente per la presenza di un assurdo campanello che a pochi metri dalla stanza con 6 degenti, per tutto il giorno e la notte, squillava ogni 10 minuti piè forte di una normale sveglia. Serviva  per segnalare agli infermieri le richieste da parte dei pazienti di tutto il reparto. Praticamente, qualche super inteligentone, ha ben pensato di mettere un campanello fortissimo, come quello che serve per chiamare i camerieri in pizzeria quando le pizze sono pronte da portare, a pochi metri dalla stanza dei ricoverati.

Durante quelle notti pensavo costantemente a quanto poco sarebbe bastato per cambiare completamente la degenza di centinaia di persone che in un anno passano da quella stanza. 

Evidentemente nessuno dei progettisti aveva avuto voglia di pensare al ricovero e all’organizzazione del reparto con gli occhi, il cuore e le orecchie del ricoverato.Leggendo vari libri ho trovato l’incredibile storia di un americano, Don Berwick, nel 2004 presidente dell’istituto del miglioramento della sanità della Carolina, che si era messo in testa di rivoluzionare la sanità nel suo stato.

Aveva riscontrato con studi scientifici che gli ospedali a causa di un 10% di errori sistematici, perdevano 100.000 persone all’anno per errori da addebitare a pratiche sanitarie e consuetudini sbagliate. Si avete capito bene, per piccoli errori umani, morivano 100.000 persone all’anno. Cioè nei procedimenti sanitari e nelle consuetudini americane vi era un 10% di errore sistematico che poi causava la morte del paziente.

 Errori anche minimi, che causavano polmoniti, raffreddori, intasamento della trachea, semplicemente per posizioni sbagliate del paziente, antibiotici presi dai pazienti in ritardo di poche ore, ecc. ecc. Convocando i suoi collaboratori disse: «Penso che dovremmo salvare 100 mila vite e credo che dovremmo riuscirci entro il 14 giugno 2006, alle ore 9.00. Tra 18 mesi».

Don Berwick e i suoi 75 collaboratori hanno salvato oltre 130 mila pazienti attraverso la formalizzazione di nuovi standard di cura, grazie alla collaborazione di tutto il personale di tutti gli ospedali della Carolina.Le sue parole nell’annunciare il successo mi hanno messo i brividi: «Celebreremo l’impresa  in cui ci siamo imbarcati, il coraggio della sincerità, la gioia della compagnia, l’intelligenza con cui avremo agito e i risultati che abbiamo raggiunto. Celebreremo noi stessi, perché non potremo festeggiare con i pazienti che abbiamo salvato perché per noi sono degli sconosciuti. Il nostro contributo consiste in ciò che non accadrà a quegli sconosciuti. Sapremo che madri e padri saranno presenti a lauree e matrimoni che avrebbero perduto, che nipoti conosceranno nonni che non avrebbero conosciuto, ci sarà chi andrà in vacanza e chi porterà a termine il suo lavoro, leggerà libri e ascolterà sinfonie e coltiverà giardini, che senza il nostro lavoro, sarebbero pieni solo di erbacce».

Vorrei che finalmente la Basilicata avesse uomini così, che finalmente i lucani tirassero fuori la voglia di lavorare, di impegnarsi in politica o per la società, per raggiungere obiettivi come questi e non solo per assicurarsi qualche soldo in più, qualche piacere o qualche voto sicuro. è per questo che ho sentito il dovere di scrivere questa lettera a chi avrà l’onore e l’onere di occuparsi della nostra comunita’ di cittadini e di malati. 

Spero che il prossimo Presidente della regione e colui che nominerà Assessore alla Sanità,  i direttori generali e gli ingegneri che progetteranno i prossimi ospedali, lo spero con tutto il cuore, che cambino profondamente il modo di porsi nei confronti delle vite che dipendono dalle loro scelte, spero che possano riflettere a fondo sul potere che hanno e di che peccato si macchierebbero se continuassero a vivere il loro impegno in modo approssimativo e mediocre come in Basilicata si continua a fare da troppo tempo.

Spero che quel campanello, come simbolo di una sanità folle e disumana, possa finalmente smettere di suonare per sempre. 

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