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Matteo Salvini, Pasquale Pepe e Flavio Facioni

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POTENZA – Parlano lucano i piani della Lega per l’impiego dei fondi europei del dopo covid al Sud. Parlano e si scrivono in lucano, coi nomi di paesi come Tolve e Ferrandina, dove potrebbero concentrarsi importanti investimenti a livello infrastrutturale. E di realtà come l’università della Basilicata, che potrebbe godere dell’istituzione di un centro di eccellenza tecnologica di riferimento, anche per le regioni vicine. Lo spiega al Quotidiano del Sud Pasquale Pepe, sindaco di Tolve e senatore del Carroccio.

Ieri, in veste di capo del Dipartimento per il Mezzogiorno, Pepe ha affiancato il leader del partito, Matteo Salvini, in un’affollata conferenza stampa a cui a preso parte anche un altro lucano, il potentino Flavio Facioni in veste di consulente tecnico del dipartimento.
Non poteva non destare ancora un pizzico di curiosità, d’altronde, ascoltare le proposte dell’ex Lega Nord per il mezzogiorno. Proposte già comunicate al governo Draghi, di cui il Carroccio è il secondo azionista, perchè vengano recepite nel Piano nazionale di ripresa e resilienza da presentare il mese prossimo a Bruxelles. Per ottenere il via libera all’impiego delle risorse dell’ex “Recovery fund”, già ribattezzato “Next generation Eu”.

Senatore, ci può sintetizzare cosa c’è per la Basilicata nel Progetto per il Mezzogiorno della Lega?
«La Basilicata c’è. Partiamo dalle opere pubbliche. Abbiamo investimenti sulla Strada statale 106, sulla Salerno-Potenza-Bari. Abbiamo l’infrastrutturazione digitale di tutto il nostro territorio. Abbiamo la medicina territoriale e gli ospedali di comunità, che non si chiuderanno. Questa degli ospedali è una cosa importante per la Basilicata. Poi abbiamo il potenziamento dell’università che dovrà connettersi ai nuovi centri di eccellenza tecnologica previsti. Uno spetta al Sud e mi chiedo perché non debba nascere proprio in Basilicata. Poi ci sono le zone economiche speciali. Inquadriamo Ferrandina come retroporto di Taranto? Bene. Allora bisogna fare in modo che lo sia realmente ed esista un’infrastrutturazione adeguata all’arrivo e alla partenza di merci, che significa anche tanto lavoro nei servizi collegati e apertura al turismo».

Nel documento che avete presentato a proposito delle Zone economiche speciali si parla di evitare interventi «a macchia di leopardo», che è un timore emerso proprio in Basilicata, dove la perimetrazione della nascente Zes include territori assai lontani tra loro. State suggerendo un momento di ulteriore riflessione al riguardo?
«Non sto contestando Zes Ionica, no. Se considero l’omogeneità territoriale esistente in Basilicata non escluderei che una regione di piccole dimensioni come la nostra possa essere ricompresa tutta all’interno della Zes. Ci sono piuttosto alcuni punti dolenti in generale nel progetto delle Zes. Noi vogliamo una legge di riforma organica perché ci sia qualcuno che decida e abbia le competenze per farlo, che oggi non c’è. Serve una semplificazione amministrativa. Serve essere chiari sulle agevolazioni fiscali senza rimandi a normative regionali e comunali. Anche istituendo una forfettizzazione fiscale se possibile».

Davvero pensa che tutta la Basilicata possa essere ricompresa all’interno della Zes?
«Non mi sento di dire che lo faremo ma nemmeno che non si può fare. Perché se sento gli esperti indicare come retroporto di Taranto Melfi, per l’industria dell’auto, allora penso che anche Tito potrebbe guardare a Taranto come porto di riferimento più che a Salerno».

A proposito di infrastrutture non sembra che ci siano grandi differenze tra le vostre proposte e quelle già tratteggiate durante il governo Conte 2. Sbaglio?
«Il vecchio governo ha perso mesi senza preparare delle schede degne di questo nome. Tanto che si sta ancora rivisitando tutto».

Forse c’è qualcosa in più sulla Salerno – Potenza – Bari con la famosa galleria per collegare la Basentana a Tolve, all’altezza di Vaglio?
«Noi ci crediamo perché permetterebbe di avvicinare i due porti e l’appalto per la progettazione definitiva dovrebbe partire nel 2022. Ma non rientrerà nel Piano di ripresa e resilienza perchè non è difficile immaginare che si possa ultimare e rendicontare la spesa entro il 2026. Ad ogni modo ci sono mille altre opportunità e troveremo il modo per portare avanti il progetto».

Alta velocità ferroviaria fino a Taranto?
«Sì».

E sull’energia e il petrolio?
«Abbiamo detto semplicemente una cosa dettata da buon senso e realismo. Non vogliamo tornare alle candele. Bisogna affiancare al fossile altre energie. Fonti rinnovabili reti distribuzione, idrogeno, ricorrendo al gas in questa fase di transizione. Questo è il disegno ipotizzato per rendere concreta la transizione ecologica di cui si parla».

Su Stellantis, invece? A Melfi la preoccupazione è tanta.
«Quando parliamo di consolidare gli insediamenti produttivi è ovvio che è ricompresa Stellantis, che deve rimanere una punta di diamante. Confido che tra Regione e Ministero dello sviluppo economico questa partita venga chiusa una volta per sempre e a Melfi si torni a produrre come si deve fare. Al di là delle difficoltà che la pandemia ha provocato. Quindi il sostegno alle attività industriali c’è, ma gli impegni che privato ha assunto all’epoca deve mantenerli. Stiamo vivendo momento particolare ed è giusto che ci si sieda e si affronti la situazione con strumenti nuovi. Ma che si metta in discussione lo stabilimento Stellantis di Melfi è inimmaginabile. E lo stesso vale per l’ex Firema a Tito. La Basilicata deve dire basta a comportamenti per cui si arriva ci si siede, si sfruttano possibilità aperte ai subentranti, a seguito di crisi precedenti, e poi si va via. A Tito non ci sono problemi, le commesse abbondano, quindi qualcuno deve spiegarci anche alla luce impegni assunti al Ministero qualche anno fa perché si devono portare gli operai a Caserta. Tanto più se si considera che Tito fa parte della nascente Zes».

Lei è favorevole all’ingresso dello Stato, attraverso Cassa depositi e prestiti in Stellantis?
«Intanto bisogna verificare il rispetto degli impegni presi da Stellantis e le cause di questa situazione di difficoltà. Se siamo di fronte a difficoltà dovute alla pandemia non mi scandalizzerei dell’ingresso di Cassa depositi e prestiti in Stellantis. Quello che conta è dare stabilità allo stabilimento, prospettiva ai lavoratori e serenità rispetto alla crescita del nostro territorio. Sono molto pragmatico e poco calcolatore su questo punto. E’ chiaro che l’ingresso non andrebbe bene se servisse a cancellare impegni immotivatamente non mantenuti».

Nel vostro programma per il Mezzogiorno si parla anche di ripopolamento e di fiscalità di vantaggio. Sono due facce della stessa medaglia?
«Sì, il progetto su cui ha lavorato a lungo Alberto Bagnai punta sul ritorno dei pensionati al Sud con agevolazioni fiscali. Ma c’è anche il potenziamento dell’università, e l’agevolazione del lavoro da casa rivedendo la normativa di settore. Per permettere a chi ha un posto di lavoro fuori regione di tornare nella sua terra natia e lavorare da lì. Bisogna ripensare alcune cose dopo la pandemia. Con le agevolazioni per gli anziani e gli studenti anche lo smart working può creare le condizioni per un’immigrazione di ritorno, che è proprio il tipo di immigrazione che noi vogliamo».

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